Tribunale di Prato, ordinanza 6 maggio 2014
Quando il codice disciplinare collega il tipo di sanzione da applicare alla valutazione della gravità del fatto addebitato, il lavoratore ha diritto alla tutela reintegratoria nel caso in cui la sua condotta venga ritenuta dal giudice non così grave da giustificare un licenziamento.
L’ordinanza del Tribunale di Prato va ad arricchire la giurisprudenza che si sta interrogando sull’applicazione del nuovo art. 18 (modificato dalla Legge Fornero del 2012) alle varie ipotesi di licenziamento non giustificato. Nel caso specifico, un lavoratore era stato licenziato per avere rivolto frasi irriguardose all’indirizzo di un superiore. Tale condotta è risultata confermata, ma non è stata ritenuta di gravità tale da giustificare il licenziamento (sulla base del giudizio di proporzionalità tra condotta contestata e sanzione, che ha tenuto puntuale conto di ogni circostanza del caso specifico). La parte più interessante del provvedimento riguarda proprio le conseguenze dell’illegittimità di detto licenziamento, avendo il Giudice constatato che il codice disciplinare del contratto collettivo applicato a quel rapporto di lavoro non tipizzava le condotte punibili con sanzioni conservative e quelle punibili con sanzione espulsiva, (limitandosi al riguardo a ribadire genericamente le nozioni di giustificato motivo soggettivo e giusta causa, collegandole alla maggiore o minore gravità della condotta, Il Tribunale, sia pure con argomentazioni non pienamente consapevoli ha equiparato, ai fini della disciplina applicabile, la mancanza di giusta causa per non eccessiva gravità dell’inadempimento alla “insussistenza del fatto addebitato”, che secondo la legge Fornero dà diritto alla reintegrazione.