Tribunale di Roma, ordinanza 24 febbraio 2014
La disciplina che incentiva il dipendente a proseguire l’attività lavorativa fino a 70 anni fonda un diritto del lavoratore, che non è subordinato al consenso del datore di lavoro: se licenziato, scatta l’art. 18 stat. lav.
L’art. 24, comma quarto, della legge 214 del 2011 ha introdotto una previsione diretta a incentivare la prosecuzione del rapporto di lavoro anche oltre la maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, e dunque fino a 70 anni (o alla superiore età stabilita in relazione agli adeguamenti dell’età pensionabile alla speranza di vita). La stessa disposizione prevede che in tal caso i lavoratori continuano ad avere diritto all’applicazione della tutela contro il licenziamento ingiustificato, ex art. 18 l. 300/1970. Nella giurisprudenza di merito si è acceso un dibattito in ordine all’interpretazione di tale disciplina, e in particolare alla questione se la prosecuzione del lavoro sia un diritto del lavoratore o richieda comunque il consenso del datore di lavoro. Con l’ordinanza segnalata il Tribunale di Roma prende nettamente posizione per la prima lettura, sulla base di un’interpretazione secondo ragionevolezza della norma: solo un vero e proprio diritto appare coerente alla funzione incentivante della disciplina. Il provvedimento del Tribunale chiarisce altresì che la richiamata disposizione si applica non solo ai lavoratori iscritti all’Inps, ma anche ai lavoratori iscritti a gestioni previdenziali sostitutive anche se gestite da un ente privatizzato, come nel caso dell’Inpgi (l’ente previdenziale per i giornalisti).