Violazione normativa sui contratti a termine: in caso di conversione in contratto a tempo indeterminato il Giudice del lavoro potrà riconoscere un indennizzo superiore a 12 mensilità nel privato e compreso tra 4 e 24 mensilità nel pubblico impiego.

16 Settembre 2024

Decreto-legge 16 settembre 2024 n. 131, in G.U. n. 217 del 16 settembre 2024

Tipo di Atto: Normativa (leggi, decreti, etc.)

Il 17 settembre 2024 è entrato in vigore il decreto-legge n. 131/2024, cd. Decreto salva infrazioni, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”, intervenendo anche sulla disciplina dei contratti di lavoro a termine, in particolare sul regime sanzionatorio, dando seguito alla richiesta della Ue di allineare la normativa interna alla direttiva 1999/70/Ce sul lavoro a tempo determinato. L’intervento consiste in due norme distinte (articoli 11 e 12), riferite la prima ai datori di lavoro privati e la seconda al settore pubblico.

  1. Nello specifico l’articolo 11 ha modificato la formulazione dell’articolo 28 del D.Lgs n. 81/2015, commi 2 e 3, inerente alla quantificazione del risarcimento dovuto ai lavoratori nelle ipotesi di conversione del contratto a tempo a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. L’articolo 28, comma 2, nella sua formulazione originaria, disponeva che “nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro». L’articolo 11, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 131/2024 ha ora aggiunto, dopo il primo periodo dell’articolo 28, comma 2, del D.Lgs n. 81/2015, la seguente disposizione: «Resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l’indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno». Questa modifica, pertanto, introduce la possibilità per il giudice, in caso di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, di riconoscere al lavoratore un indennizzo superiore a 12 mensilità, fermo restando l’onere della prova in capo a quest’ultimo con riferimento al maggior danno subito. Inoltre, l’articolo 11, comma 1, lettera b), ha abrogato il comma 3 dell’articolo 28 del D.Lgs n. 81/2015, il quale stabiliva che la soglia massima dell’indennizzo, pari a 12 mensilità, fosse dimezzata in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie. Quest’ultima novità azzera conseguentemente gli effetti che un ruolo attivo svolto dalla contrattazione collettiva potrebbe determinare sulla riduzione dei rischi risarcitori in caso di contenzioso giudiziale in materia di contratti a termine.
  2. L’articolo 12 del DL n. 131/2024 interviene invece sulla disciplina dei rapporti a termine nelle amministrazioni pubbliche, ed in particolare sull’articolo 36 del D.Lgs n. 165/2001 (norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nel quale anzitutto si afferma che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori (tra le quali rientrano quelle che pongono limiti ai rapporti a termine) non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, diversamente da quanto accade nel settore privato. L’unica sanzione prevista per le violazioni rimane dunque il risarcimento del danno che, per come era congegnata la norma originaria, doveva essere provato dal lavoratore secondo le regole generali. A più riprese la Corte di giustizia Ue aveva affermato che gli Stati membri non debbono necessariamente sanzionare gli abusi in materia di contratto a termine con la trasformazione del rapporto, purché le diverse sanzioni siano dissuasive ed efficaci. Sulla scorta di tali decisioni, la giurisprudenza italiana (a partire dalla sentenza delle sezioni unite della Cassazione 5072/2016) ha adottato una interpretazione adeguatrice della norma, attribuendo al dipendente pubblico, in caso di abuso nel ricorso al contratto a termine, il medesimo importo risarcitorio forfettario previsto nel settore privato (da 2,5 a 12 mensilità). Ciononostante l’Unione Europea ha ritenuto tale adeguamento non sufficientemente dissuasivo, dando corso alla procedura di infrazione. Di qui la norma ora introdotta, nella quale si prevede che, nel caso di abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti a termine, l’indennizzo sia compreso tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, avuto riguardo alla gravità della violazione, anche in base al numero dei contratti intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto e – come nella modificata normativa sui contratti a tempo determinato nel settore privato – fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno. Viene incrementato quindi l’importo forfettario e si lascia la possibilità di provare il maggior danno.
  3. Infine l’articolo 9 del DL n. 131/2024, in materia di lavoratori stagionali di Paesi terzi, apporta una modifica al D.Lgs n. 286/1998 inserendo il nuovo comma 15-bis all’articolo 24, che dispone una sanzione amministrativa a carico dei datori di lavoro in caso di messa a disposizione del lavoratore straniero di un alloggio privo di idoneità alloggiativa, o di richiesta di un canone eccessivo rispetto alla qualità dell’alloggio e alla retribuzione, stabilendo che in tutti i casi il canone è da considerarsi eccessivo quando è superiore ad un terzo della retribuzione.