Questa voce è stata curata da Gionata Cavallini
Scheda sintetica
L’art. 2112 c.c. dispone, tra l’altro, che, nel caso di cessione dell’intera azienda, o di un suo ramo autonomo, i relativi rapporti di lavoro vengano trasferiti automaticamente e senza soluzione di continuità all’imprenditore acquirente, con il mantenimento delle condizioni economiche e normative godute dal lavoratore presso il precedente datore di lavoro.
Si tratta di una norma di estrema garanzia per il lavoratore che, conseguentemente, non può essere licenziato per il semplice fatto che l’azienda cui è addetto è stata ceduta, né vedere modificate le condizioni del rapporto.
La norma in questione, originaria del codice civile del 1942 e più volte modificata anche in attuazione delle direttive europee in materia, è stata oggetto di un’attenta interpretazione da parte della giurisprudenza, che ha vigilato affinché questa disposizione garantista non finisse per ritorcersi, di fatto, contro i lavoratori.
Infatti, l’imprenditore che volesse sbarazzarsi di un certo numero di dipendenti senza incorrere negli obblighi in materia di licenziamenti collettivi (oltre che nei connessi danni d’immagine) potrebbe cedere una parte della propria attività produttiva ad una piccola impresa, priva di solidità economica e finanziaria, nonché di prospettive imprenditoriali per il futuro.
Se tale operazione potesse essere considerata come trasferimento di ramo d’azienda, l’imprenditore potrebbe effettivamente disfarsi dei lavoratori coinvolti, i quali si vedrebbero trasferiti al cessionario (anche senza o contro il loro consenso) e perderebbero le garanzie delle quali godevano presso il cedente (in primo luogo, la protezione contro i licenziamenti ingiustificati, nelle imprese medio-grandi).
In particolare, la giurisprudenza si è occupata di casi in cui l’entità ceduta, lungi dal costituire un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività d’impresa, era costituita da un raggruppamento occasionale di lavoratori individuati dal cedente in vista dell’espulsione dal tessuto aziendale, verso cessionari privi di effettiva consistenza imprenditoriale, e magari pronti a cessare le attività poco tempo dopo il trasferimento. In tali casi, la giurisprudenza ha concluso nel senso che la mancanza di autonomia rende inefficace il trasferimento nei confronti dei lavoratori ceduti, i quali possono quindi opporsi al trasferimento del rapporto di lavoro negando il proprio consenso ai sensi dell’art. 1406 c.c.
In alcune occasioni, è stato anche ritenuto che se la cessione avviene a seguito di un comportamento doloso o colpevole del venditore nei confronti dei lavoratori (per esempio, se il cedente è a conoscenza del fatto che l’acquirente non è un imprenditore serio, ma è intenzionato a cessare l’attività), i lavoratori successivamente licenziati hanno diritto al risarcimento del danno da parte dell’imprenditore cedente.
A tutela dei diritti dei lavoratori e del sindacato, la legge prevede che nelle aziende medio grandi, prima di dare seguito alla cessione, debba essere rispettata una precisa procedura sindacale, di modo che l’operazione possa essere soggetta al controllo dei lavoratori interessati.
La legge stabilisce poi precisi vincoli riguardanti la retribuzione del lavoratore ceduto, nonché il mantenimento dei diritti presso il nuovo imprenditore.
Cosa fare – Tempi
La Legge 183/2010 ha introdotto per la prima volta dei termini di decadenza per l’impugnazione della cessione del contratto avvenuta a seguito di un trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.).
In particolare, la nuova disciplina prevede che:
- entro 60 giorni dalla data del trasferimento d’azienda, il lavoratore deve impugnare in via stragiudiziale la cessione del contratto, mediante racc. a.r. o posta elettronica certificata, comunicando al datore di lavoro cedente di essere a sua disposizione, allo scopo di costituirlo in mora;
- impugnata tempestivamente la cessione del contratto, il lavoratore ha 180 giorni per depositare il ricorso in tribunale.
- in alternativa, il lavoratore può entro 60 giorni dall’impugnazione stragiudiziale, comunicare al datore la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato;
- in questo secondo caso, se la richiesta di conciliazione o arbitrato viene rifiutata oppure non si raggiunge l’accordo, il lavoratore ha 60 giorni per depositare il ricorso in tribunale.
Normativa
- Codice civile, art. 2112
- Direttiva Europea 2001/23/CE
- Art. 47, Legge 428/1990
- Art. 29, Decreto Legislativo 276/2003
- Art. 32, legge 183/2010
- Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (per la riduzione del termine di impugnazione e decadenza)
A chi rivolgersi
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Le nozioni di azienda e di ramo d’azienda
L’art. 2112 c.c. (rubricato “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”), dispone che in caso di trasferimento d’azienda da un imprenditore (cedente) ad un altro (cessionario), anche il rapporto di lavoro dei lavoratori dipendenti presso l’azienda ceduta si trasferisca al cessionario, con conservazione di tutti i diritti che ne derivano, ivi compresa l’anzianità di servizio. In deroga alla regola generale di cui all’art. 1406 c.c. (che richiede, in caso di cessione del contratto, il consenso del contraente ceduto) in caso di trasferimento d’azienda la cessione del contratto di lavoro è automatica e non richiede il consenso dei lavoratori coinvolti.
La funzione della norma, già presente nella versione originaria del codice civile del 1942, è in primo luogo quella di garantire la continuità del rapporto di lavoro del dipendente, che non potrà essere licenziato solo perché la sua azienda è stata trasferita a un altro imprenditore. La disposizione, tuttavia, risponde anche alle esigenze dello stesso imprenditore cessionario, che grazie ad essa si troverà munito di un complesso aziendale già pronto per la produzione.
Nella versione originaria della disposizione, essa faceva riferimento all’azienda nel suo complesso, e come tale non creava particolari problemi interpretativi. Il Decreto legislativo 18/2001, in attuazione della direttiva comunitaria 2001/23/CE, ha invece introdotto la possibilità che il trasferimento riguardi non solo l’azienda nel suo complesso, ma anche solo una “parte dell’azienda” (c.d. ramo d’azienda), a condizione che tale ramo d’azienda costituisca un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità.
Nell’impianto normativo successivo alla direttiva del 2001, dunque, da un lato viene esplicitato che si considera azienda ogni attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi (cosicché possono essere oggetto di trasferimento anche entità non imprenditoriali), dall’altro, si precisa che può formare oggetto di trasferimento anche una porzione minore di un’azienda, purché presenti i caratteri dell’autonomia e della preesistenza.
Il Decreto Legislativo 276/2003 (c.d. Legge Biagi) ha tuttavia apportato significative modifiche all’art. 2112 c.c., eliminando il riferimento alla necessaria preesistenza del ramo d’azienda e introducendo l’apparente possibilità che cedente e cessionario possano identificare un determinato segmento aziendale quale “ramo d’azienda”.
La disposizione sembrava così autorizzare il cedente e il cessionario a individuare un determinato numero di lavoratori da trasferire al cessionario, anche senza (o contro) il loro consenso, con l’effetto apparente di consentire al cedente di “liberarsi” di parte dei propri lavoratori senza passare attraverso la procedura in materia di licenziamenti collettivi.
Tuttavia, quanto al grado di discrezionalità di cui godono cedente e cessionario nell’identificazione del ramo d’azienda, è chiaro che se gli imprenditori che pongono in essere la cessione di una parte dell’attività d’impresa fossero liberi di stabilire, a loro piacimento, se configurare o no l’oggetto della cessione come ramo d’azienda, si potrebbero realizzare veri e propri abusi, dal momento che il trasferimento di un gruppo di lavoratori da un’impresa all’altra avverrebbe sulla base del loro assoluto arbitrio, e non di principi giuridici certi e prestabiliti.
Quanto invece al requisito della preesistenza, è stato rilevato che la direttiva europea (cui deve uniformarsi la normativa nazionale, salva la possibilità di prevedere disposizioni più favorevoli per i lavoratori) prevede che elemento essenziale della fattispecie del trasferimento (d’azienda o di ramo) sia rappresentato dalla circostanza che l’entità trasferita conservi nel trasferimento la propria identità, dal che si è dedotto che anche a seguito dell’eliminazione del riferimento alla preesistenza del ramo, esso debba comunque necessariamente preesistere al trasferimento, non potendosi “conservare” ciò che ancora non esiste.
Sulla scorta di tali considerazioni, la giurisprudenza ha interpretato il nuovo art. 2112 c.c. nel senso che il ramo oggetto di cessione deve presentarsi come una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma, non potendo risultare in una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata da cedente a cessionario.
Il ramo d’azienda, pertanto, per potere formare validamente oggetto di trasferimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c., deve essere in buona sostanza una “piccola azienda”, capace di operare sul mercato come un autonomo centro di profitto.
Si veda anche la voce ramo d’azienda
La nozione di trasferimento
Se in molti casi il lavoratore ha interesse a contestare l’efficacia del trasferimento del ramo cui era addetto, allo scopo di vedere il proprio rapporto di lavoro permanere in capo al datore di lavoro cedente, vi sono casi opposti in cui il lavoratore ha interesse a qualificare come trasferimento d’azienda o di ramo un’operazione economica posta in essere tra due imprenditori, allo scopo di vedere il proprio rapporto transitare alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro.
È dunque necessario verificare quali tipologie di operazioni diano luogo ad un trasferimento ai sensi dell’art. 2112 c.c., posto che la disposizione, al quarto comma, si limita a prevedere che costituisce trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’azienda, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda.
Come emerge dalla definizione appena riportata, la nozione di trasferimento è estremamente ampia e aperta, essendo orientata a garantire la massima tutela a favore dei lavoratori coinvolti in processi di circolazione dell’azienda o di parte di essa.
Nella maggioranza dei casi, il trasferimento si realizza mediante la sottoscrizione di un contratto commerciale tra cedente e cessionario (compravendita, ma anche affitto o usufrutto).
In tali casi, l’operazione deve essere qualificata come trasferimento d’azienda o di ramo ove vi sia il passaggio dei beni mobili o immobili che consentono lo svolgimento dell’attività d’impresa ovvero si verifichi la sostanziale prosecuzione, da parte del secondo imprenditore, dell’attività già svolta dal primo. In particolare, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, elemento determinante per valutare se vi sia stato trasferimento consiste nel mantenimento del nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà tra i diversi fattori della produzione trasferiti, di modo che l’imprenditore che acquisti i beni mobili e immobili necessari allo svolgimento di un’attività d’impresa si vedrà automaticamente trasferiti anche i rapporti di lavoro connessi a tale attività.
Può tuttavia accadere che il trasferimento si realizzi in virtù di un provvedimento amministrativo, come nel caso in cui un ente pubblico affidi a un nuovo appaltatore lo svolgimento di un servizio precedentemente affidato a un altro appaltatore.
In tali casi, è fondamentale capire se si tratta o meno di trasferimento d’azienda, posto che mentre in caso affermativo i lavoratori addetti al primo appalto vedranno il proprio rapporto di lavoro proseguire senza soluzione di continuità e a condizioni invariate in capo al nuovo appaltatore, in caso negativo la tutela dei lavoratori passa solo per le eventuali clausole sociali previste dai contratti collettivi, che obbligano il nuovo appaltatore a riassumere i lavoratori già addetti all’appalto.
In proposito, l’art. 29, d. lgs. 276/2003 nella sua formulazione originaria prevedeva piuttosto lapidariamente che l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.
Con le recenti modifiche apportate dalla Legge 122/2016, è stato precisato che l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore non costituisce trasferimento d’azienda solo nel caso in cui quest’ultimo sia dotato di una propria struttura organizzativa e operativa e siano presenti elementi di discontinuità che caratterizzano la nuova impresa.
Se invece, come spesso accade nella pratica, l’appaltatore subentrante rilevi anche la struttura organizzativa utilizzata dal precedente appaltatore (ad es. macchinari, beni mobili o immobili, licenze), la fattispecie dovrà essere qualificata come trasferimento d’azienda con tutte le conseguenze che ne derivano ai sensi dell’art. 2112 c.c.
Sotto altro profilo, l’art. 2112 c.c. fa riferimento anche alle ipotesi di fusione e incorporazione, che rappresentano infatti delle operazioni societarie in virtù delle quali la titolarità dell’azienda passa in capo ad un soggetto nuovo (in caso di fusione di due società in una nuova società) o diverso (in caso di incorporazione di una società in un’altra).
Diverse da tale ipotesi sono i casi di trasferimento del pacchetto azionario, anche di controllo, che secondo la giurisprudenza maggioritaria non integra gli estremi del trasferimento d’azienda, in quanto sebbene il controllo dell’azienda passi in effetti da soggetto a un altro, la titolarità della stessa continua a rimanere in capo all’ente (società per azioni, società a responsabilità limitata) che la esercita.
L’obbligo di procedura sindacale
Nel caso di cessione di un’azienda che occupi più di 15 lavoratori, l’art. 47 Legge 428/1990 prescrive che il cedente ed il cessionario ne debbano dare comunicazione, almeno 25 giorni prima, alle rappresentanze sindacali aziendali ed alle rispettive organizzazioni di categoria.
In mancanza delle RSA, l’informazione è dovuta alle organizzazioni sindacali di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
Più precisamente, l’informazione deve riguardare:
- i motivi del trasferimento;
- le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori;
- le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.
I sindacati che hanno ricevuto la comunicazione possono, nei sette giorni successivi, richiedere un esame congiunto, che deve iniziare entro sette giorni dalla richiesta.
La procedura di informazione – consultazione sindacale è comunque esaurita qualora, entro dieci giorni dall’inizio dell’esame congiunto, le parti non raggiungano alcun accordo.
L’art. 47 cit. prevede esplicitamente che il mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di esame congiunto costituisce condotta antisindacale.
Per approfondimenti si veda la voce Procedura di mobilità
Il trasferimento delle aziende in crisi
Ai sensi dello stesso art. 47, Legge 428/1990, l’accordo eventualmente raggiunto nell’ambito della procedura appena descritta può prevedere alcune deroghe all’applicazione dell’art. 2112 c.c.
In particolare, ai sensi del comma 4bis della disposizione citata, nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale da parte della autorità competenti.
La disposizione appena menzionata era stata introdotta allo scopo di dare attuazione alla sentenza con cui la Corte di Giustizia aveva condannato la Repubblica Italiana per avere mantenuto in vigore una disposizione (il comma 5 previgente dell’art. 47, Legge 428/1990) che prevedeva la possibilità di derogare alla regola del trasferimento dei rapporti di lavoro non solo nei casi ammessi dalla Direttiva europea (procedure fallimentari o procedure di insolvenza analoghe aperte in vista della liquidazione dei beni del cedente, e dunque senza prosecuzione dell’attività d’impresa), ma anche nei casi di crisi aziendale senza finalità liquidatorie (vale a dire, finalizzate alla continuazione dell’attività d’impresa).
Sennonché, anche la nuova disposizione è sembrata non in linea con la Direttiva Europea, perché pareva autorizzare una deroga alla regola del trasferimento dei rapporti di lavoro (ancorché subordinata al raggiungimento di un accordo sindacale) anche nei casi di aziende in crisi soggette a procedure di tipo non liquidatorio, finalizzate a garantire la continuazione dell’attività d’impresa.
Per evitare un’altra condanna da parte della Corte di Giustizia, dunque, la giurisprudenza italiana ha proceduto a un’interpretazione comunitariamente orientata dell’art. 47, comma 4bis, Legge 428/1990, concludendo nel senso che l’accordo collettivo cui fa riferimento la suddetta disposizione può sì derogare all’art. 2112 c.c., ma solo prevedendo modifiche delle condizioni di lavoro al fine del mantenimento dei livelli occupazionali, senza potere invece prevedere limitazioni al trasferimento dei rapporti di lavoro all’impresa cessionaria.
Cessione del singolo rapporto di lavoro
L’ipotesi della cessione del singolo contratto di lavoro è diversamente regolata dalla legge, a seconda che tale cessione sia o meno la conseguenza di un trasferimento d’azienda o di un ramo della stessa.
Infatti, se l’oggetto del trasferimento è l’azienda, o un suo ramo autonomo, la contestuale cessione dei relativi rapporti di lavoro è una conseguenza necessaria, automaticamente prevista dall’art. 2112 c.c..
Al contrario, qualora non fossero ceduti beni strumentali, o comunque i beni ceduti non fossero tali da costituire un’azienda o un ramo autonomo, la cessione del rapporto di lavoro sfuggirebbe alla disciplina dell’art. 2112 c.c.
Questo caso è disciplinato dall’art. 1406 c.c., che regolamenta la cessione del contratto.
Più precisamente, la norma dispone che uno dei due contraenti possa cedere ad un terzo il contratto, a condizione però che l’altro contraente presti il proprio consenso.
Ciò vuol dire che, in assenza di tale consenso, la cessione del contratto non si perfeziona e non ha alcuna efficacia.
Con particolare riferimento alla cessione del contratto di lavoro, la giurisprudenza ha interpretato l’art. 1406 c.c. affermando che il dissenso deve essere esplicito e tempestivo.
In altre parole, il lavoratore ceduto potrebbe manifestare validamente il suo consenso qualora cominciasse a lavorare per il nuovo datore di lavoro senza protestare.
Pertanto, nel caso di cessione del singolo contratto di lavoro, il lavoratore può certamente opporsi al trasferimento del proprio contratto di lavoro, a condizione però che manifesti il proprio dissenso in maniera esplicita, preferibilmente mediante raccomandata r.r. e con opportuna tempestività.
Se invece ci si trova davanti a un efficace trasferimento d’azienda o di ramo autonomo, come si è detto, il trasferimento del rapporto di lavoro opera automaticamente e a prescindere dal consenso o dal dissenso del lavoratore.
In tali casi, l’unico rimedio a favore del lavoratore è stabilito dall’art. 2112, comma 4, c.c., che prevede che se nei tre mesi successivi al trasferimento le condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica, il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni con giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 c.c., e dunque senza essere tenuto a prestare il periodo di preavviso e anzi con il diritto a vedersi corrispondere da parte del datore di lavoro l’indennità sostitutiva del preavviso.
Mantenimento dei diritti dei lavoratori con il nuovo imprenditore e successione dei contratti collettivi
Il terzo comma dell’art.2112 c.c. prevede che il cessionario sia tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario, e che tale effetto di sostituzione si produca esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
In sostanza il trasferimento non può determinare di per sé un peggioramento delle condizioni del lavoratore, al quale non può, ad esempio, essere diminuita la retribuzione o aumentato l’orario di lavoro.
Il principio vale anche qualora tali diritti del lavoratore non siano disciplinati dalla legge o dal contratto, ma trovino il proprio fondamento in un uso aziendale consolidato nel tempo presso il datore di lavoro cedente. In casi simili il comportamento ripetuto nel tempo in modo costante diventa una vera e propria prassi aziendale che diventa parte integrante del rapporto di lavoro e come tale vincola il datore di lavoro.
Una simile prassi rientra tra i cosiddetti “usi negoziali o di fatto”, che la giurisprudenza assimila a un contratto collettivo aziendale: in definitiva, è come se alle clausole previste dalla lettera di assunzione o dal contratto collettivo se ne aggiungesse un’altra, non scritta, ma che diventa comunque vincolante per le parti, e che come tale deve essere rispettata.
Per quanto riguarda la contrattazione collettiva applicabile vale il principio statuito dal terzo comma dell’art.2112 c.c. secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa cessionaria si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo. In caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente e in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria, anche se più sfavorevole per il lavoratore (con la sola salvezza dei diritti già acquisiti al patrimonio del lavoratore per effetto della contrattazione precedente).
La legge prevede tuttavia che tale effetto di sostituzione operi solo per contratti collettivi di pari livello; con ciò si intende che, ad esempio, se l’impresa cedente applicava, oltre al contratto collettivo nazionale, anche un contratto aziendale integrativo e l’impresa cessionaria invece applica il solo contratto collettivo nazionale, l’effetto di sostituzione opererà solo per il CCNL mentre i lavoratori trasferiti presso la cessionaria continueranno a godere dei diritti della contrattazione aziendale che era in essere presso la cedente, almeno sino a scadenza della stessa. Se invece anche presso la cessionaria esiste una contrattazione aziendale, si applicherà quest’ultima anche se più sfavorevole.
Nel caso opposto, nel quale la contrattazione collettiva aziendale della cessionaria sia invece più favorevole al lavoratore rispetto a quella che applicava l’impresa cedente, opera comunque l’effetto sostitutivo sopra evidenziato e il lavoratore acquisirà tutti i trattamenti retributivi e normativi previsti dalla contrattazione della cessionaria che è diventata la sua nuova datrice di lavoro.
Spesso, peraltro, la fase di consultazione sindacale che precede il trasferimento di azienda o di ramo d’azienda si conclude con un accordo, denominato “di ingresso”, che disciplina nel dettaglio il passaggio da un contratto collettivo all’altro, prevedendo eventualmente un particolare regime transitorio.
La solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti del lavoratore
Un’ulteriore importante misura a tutela del lavoratore trasferito è rappresentato dal regime della solidarietà tra il cedente e il cessionario per i crediti derivanti dal rapporto di lavoro.
L’art. 2112, comma 2, c.c., prevede infatti che il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento.
Se dunque il datore di lavoro cessionario non è in grado o non intende soddisfare i crediti che il lavoratore vantava nei confronti del cedente al momento del trasferimento, il lavoratore potrà chiederne il pagamento al precedente datore di lavoro.
Solo con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 c.p.c. il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di trasferimento di azienda
In genere
- In caso di cessione di azienda dichiarata nulla, impossibile per il cedente aderire alla transazione che ha posto fine al rapporto tra lavoratore e cessionario.
In una complessa vicenda relativa alla cessione di un ramo d’azienda poi dichiarata nulla, nel giudizio successivamente promosso da un lavoratore per impugnare il trasferimento di sede disposto dalla cedente in fase di riassegnazione in servizio (e sul tema del trasferimento di sede a seguito della dichiarazione di nullità della cessione e conseguente ordine di riammissione in servizio, la Corte ribadisce quanto recentemente affermato con la sentenza n 11564/23, nel n. 10 di questa N.L.), quest’ultimo aveva chiesto di poter profittare della transazione intervenuta tra lavoratore e cessionario di risoluzione del rapporto di lavoro tra di loro proseguito. La Corte, nel ricordare che le vicende del rapporto di fatto eventualmente intercorrente tra lavoratore e cessionario nel periodo dalla cessione alla dichiarazione della sua nullità non interferiscono col rapporto tra lavoratore e cedente, esclude la fondatezza della domanda da quest’ultimo fondata su una pretesa solidarietà passiva di cedente e cessionario rispetto al lavoratore, che la Corte ha escluso sussistesse proprio in ragione della dichiarazione di nullità della cessione. (Cass.18/5/2023 n. 13655, ord., Pres. Esposito Rel. Leone, in Wikilabour, Newsletter n. 11/23) - Per ottenere i danni da cessione d’azienda illegittima occorre la messa in mora del datore di lavoro cedente.
Il caso è quello di un lavoratore che, dopo aver ottenuto dai giudici l’annullamento della cessione di un ramo d’azienda, aveva chiesto la condanna del datore di lavoro pseudo-cedente a risarcirgli i danni relativamente al periodo intercorrente dalla cessione di azienda alla dichiarazione giudiziaria della sua invalidità. La domanda è stata respinta per mancanza di un atto di messa in mora mediante offerta della prestazione al datore di lavoro originario. In proposito, la Corte distingue il periodo successivo alla sentenza che accerta l’invalidità della cessione dal periodo precedente, affermando che per il primo spetta al lavoratore illegittimamente ceduto la retribuzione, previa offerta della prestazione. Per il secondo periodo, il lavoratore può ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla cessione a causa dell’illegittimo rifiuto del datore di lavoro cedente di ricevere la sua prestazione, inutilmente offerta, detratto l’eventuale aliunde perceptum. (Cass. 24/2/2023 n. 5788, Pres. Raimondi Rel. Boghetich, in Wikilabour, Newsletter n. 6/23) - Esternalizzazione di servizi tra enti dello stesso gruppo: anche in assenza di un contratto scritto, costituisce trasferimento di ramo d’azienda il passaggio di attività economica organizzata tra un soggetto e l’altro.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da una lavoratrice, dipendente di una associazione sindacale di imprese e accerta l’illegittimità del licenziamento intimatole per motivi oggettivi: pur escludendo l’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro tra l’associazione e una società di servizi dalla stessa controllata, riscontra un trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c. a tale società nell’esternalizzazione delle attività di assistenza contabile. Secondo il Giudice non rileva che il passaggio dell’attività economica dal cedente al cessionario non sia stato sancito con un contratto in forma scritta, ben potendosi desumere dalle circostanze di fatto l’avvenuto trasferimento d’azienda. Di conseguenza, trovando applicazione l’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro si è trasferito automaticamente alla società controllata, con perdita del potere di intimare un licenziamento da parte dell’associazione già datrice di lavoro. (Trib. Catanzaro, 17/2/2023, dott. Aragona, in Wikilabour, Newsletter n. 8/23) - In caso di trasferimento di un’azienda in crisi, intangibile il diritto della dipendente dell’impresa cedente di passare alle dipendenze della cessionaria.
A seguito della procedura di infrazione avviata dalla Corte di giustizia rispetto alla normativa italiana che, con l’art. 47, commi 5 e 6, della l. n. 428/1990 per il caso di trasferimento di impresa in “crisi aziendale”, non garantiva ai lavoratori i diritti riconosciuti dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4 della Direttiva 2001/CE/23 (mantenimento delle stesse condizioni di lavoro e contrattuali tra il datore di lavoro cedente e l’impresa cessionaria, divieto di licenziamento), lo Stato Italiano ha emanato legge 166/2009. Tale legge, all’art. 19 quater (che ha introdotto il comma 4 bis al predetto art. 47 della L.428/90) prevede, in caso di “aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale” e “per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria ….in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività”, che “l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione”, ma “nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo” sindacale. In un caso in cui, in conformità dell’accordo sindacale aziendale, era stato negato alla dipendente di una società in crisi aziendale il passaggio alla società cessionaria, la Cassazione, con la sentenza in commento, chiarisce come tale accordo sindacale possa intervenire sulle “condizioni di lavoro” dei lavoratori ma non può privarli del proprio diritto di proseguire il rapporto presso il cessionario, ritenendo l’interpretazione data alla norma dalla Corte di Appello di Roma (che aveva ritenuto lecito l’accordo sindacale con cui si definivano le liste con i nomi di quanti sarebbero passati alle dipendenze dell’acquirente) in contrasto con il diritto comunitario ed in particolare con l’art. 5 della predetta Direttiva 2001/CE/23. (Cass. 17/8/2020 n. 17198, Pres. Nobile Rel. Pagetta, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020) - La previdenza integrativa nel trasferimento di azienda oggetto di procedura fallimentare.
Nel caso esaminato, si trattava di stabilire se il trasferimento dei diritti conseguenti a una cessione di azienda, avvenuta nel corso di una procedura fallimentare non finalizzata alla liquidazione dei beni dell’impresa, dovesse comprendere o non anche le quote maturate negli anni di servizio trascorsi, ma non ancora liquidabili, di una pensione integrativa prevista da un contratto collettivo aziendale. La Corte, esclusa l’obbligatorietà del trasferimento dei diritti a tale pensione già maturati alla data di apertura della procedura, afferma che lo Stato membro può scegliere tra l’escludere il trasferimento delle quote maturate e ancora non liquidabili oppure riconoscerlo, anche solo parzialmente (nel caso esaminato, solo per le quote maturate dopo l’apertura della procedura fallimentare). Ma “in ogni caso” in cui non riconosca, anche solo parzialmente, il trasferimento dei diritti in questione, deve assicurare agli aventi diritto una protezione equivalente a quella minima prevista per il caso d’insolvenza (così come, in caso di trasferimento di un’azienda in bonis, lo Stato membro non è tenuto ad assicurare il trasferimento di diritti di lavoratori a prestazioni di vecchiaia, invalidità o per i superstiti di tipo complementare, ma in ogni caso deve assicurare loro una tutela equivalente). (Corte di Giustizia UE 9/7/2020, cause 674 e 675/2018, Pres. Regan Rel. Juhasz, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020) - Per la stipulazione degli accordi collettivi derogatori all’art. 2112 c.c. non è sufficiente la mera domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
La sentenza affronta il tema della validità dell’accordo derogatorio dell’art. 2112 c.c. nell’ambito del concordato preventivo. Il Giudice afferma che ai fini della validità dell’accordo è necessario che sia stata dichiarata l’apertura della procedura di concordato preventivo, non bastando la mera proposizione dell’istanza. Il Tribunale precisa altresì che la domanda di applicazione dell’art. 2112 c.c., per conservazione del rapporto di lavoro in capo al cessionario, non è condizionata all’impugnazione del licenziamento intimato dal cedente successivamente alla cessione. (Trib. Roma 12/6/2020, Giud. Farina, in Wikilabour, Newsletter n. 12/2020) - In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’art. 2, comma 5, lett. c), L. n. 675 del 1977, ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, l’accordo sindacale di cui all’art. 47, comma 4-bis, L. n. 428 del 1990, inserito dal D.L. n. 135 del 2009, conv. in L. n. 166 del 2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le sole condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la disposizione va letta valorizzando la diversità di contenuto rispetto al comma 5, che consente deroghe anche al diritto alla prosecuzione del rapporto in caso di procedure concorsuali liquidatorie; a ciò induce una lettura della disposizione conforme al diritto dell’Unione e specificamente degli artt. 3, 4 e 5, Dir. 2001/23/CE, come interpretata da CGEU 11 giugno 2009, C-561/07, che ha ritenuto la contrarietà alla Direttiva dell’art. 47, comma 5 nel testo originario (Cass. 1/6/2020 n. 10414, Pres. Nobile Rel. Blasutt, in Lav. nella giur. 2021, con nota di F.M. Giorgi, L’art. 2112 c.c. nella crisi d’impresa. Novità giurisprudenziali, 68)
- L’art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003, anche nel testo precedente alla novella di cui alla L. n. 122/2016, va inteso nel senso che la mera assunzione, da parte del subentrante nell’appalto, non integra di per sé trasferimento d’azienda ove non si accompagni alla cessione dell’azienda o di un suo ramo autonomo, per cui se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l’azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c. (Cass. 31/1/2020 n. 2315, Pres. Di Cerbo Rel. Amendola, Lav. nella giur. 2021, con nota di L. M. Dentici, L’accertamento del trasferimento d’azienda in caso di cambio d’appalto nel rito “Fornero”, 256)
- In caso di reinternalizzazione di una fase dell’attività produttiva già oggetto di subappalto, qualora vengano utilizzati i medesimi beni strumentali e una consistente parte dei dipendenti già in forza al subappaltatore, si applica la disciplina del trasferimento d’azienda, posto che, ai sensi dell’art. 29, co. 3, d.lgs. 276/2003, non sono ravvisabili elementi di discontinuità tali da giustificarne l’esclusione. (Trib. Pavia 10/9/2019, Est. Allieri, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di S. Renzi, “Sull’incerto confine tra cambio di appalto e trasferimento di azienda”, 127)
- Non è fondata la questione di legittimità costituzionale del “combinato disposto” degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., in relazione a un rapporto di lavoro subordinato, dopo il mutamento del diritto vivente che riconosce la natura retributiva delle pretese del lavoratore a seguito della messa in mora del datore di lavoro. (Corte Cost. 28/2/2019 n. 29, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di M.G. Greco, “Mora del creditore e rapporto di lavoro: la Corte Costituzionale avalla la svolta delle Sezioni Unite sulla natura retributiva della pretesa del lavoratore”, 400)
- Qualora in epoca successiva alla cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro a tempo determinato intercorso tra il datore di lavoro cedente e il lavoratore sia stato ceduto il ramo d’azienda cui era addetto il prestatore e venga in giudizio accertata la nullità del termine finale apposto al relativo contratto, la sentenza con cui viene dichiarata la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato deve essere pronunciata in capo al datore di lavoro cessionario. Pertanto, in quest’ipotesi, il termine di decadenza per l’impugnazione del trasferimento d’azienda non decorre dalla data in cui l’atto di trasferimento è divenuto efficace o dalla diversa data in cui tale atto è divenuto conoscibile mediante la pubblicazione nel registro delle imprese, bensì dalla data della predetta sentenza, di natura costitutiva, non potendo il lavoratore esercitare l’azione di impugnazione anteriormente a questa data, in quanto la fattispecie attributiva al prestatore di lavoro del diritto a impugnare la cessione realizzatasi ex art. 2112 c.c., cioè l’atto di trasferimento stesso, si è perfezionata solo con la pronuncia attraverso la quale è stato costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in capo al cessionario. (Trib. Trento 4/12/2018, Rel. Flaim, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Turrin, Sulla complessa questione della decorrenza dei termini di impugnazione del contratto a termine e del trasferimento d’azienda in un caso di successione di contratti a tempo determinato”, 237)
- In caso di re-internalizzazione di servizi a seguito di cessazione dell’appalto si verifica una fattispecie di trasferimento d’azienda, con conseguente applicazione dell’art. 2112 c.c., qualora sussistano l’identità e la continuità dell’organizzazione produttiva (fattispecie antecedente alla modifica dell’art. 29, d.lgs. 276/2003 a opera dell’art. 30, l. 7 luglio 2016, n. 122). (Trib. Milano 23/7/2017, n. 1236, Est. Tomasi, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di L. A. Cosattini, “Successione negli appalti, cambia la legge ma non la sostanza: decisive l’identità e la continuità della gestione”, 15)
- Deve escludersi l’esistenza di un ramo d’azienda suscettibile di trasferimento ai sensi dell’art. 2112 c.c. nella ipotesi di cessione di un servizio senza la contemporanea attribuzione in uso anche dei programmi applicativi, non assumendo rilievo la mera decisione del cedente di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. (Corte app. Roma 24/3/2017, Pres. e Rel. Poscia, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di G. Cavallini, “L’articolazione funzionalmente autonoma come ‘piccola azienda’: brevi osservazioni sul caso Monte Paschi”, 471)
- Il trasferimento d’azienda è configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa. Anche un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può corrispondere a un’entità economica che può conservare la propria identità ove il nuovo titolare non si limiti a proseguire l’impresa ma riassuma anche una parte essenziale (in termini di numero e di competenza) del personale specificatamente destinato dal predecessore a tali compiti, ciò pure nel caso in cui la cessione abbia a oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze che siano stabilmente coordinati e organizzati tra loro. (Trib. Busto Arsizio 12/7/2016, Giud. Fumagalli, in Lav. nella giur. 2017, 102)
- L’art. 13 del D.L. n. 223 del 2006, convertito nella L. n. 248 del 2006, che impone alle società, a capitale pubblico o misto, produttrici di beni e servizi strumentali all’attività delle amministrazioni pubbliche regionali e locali, di cedere le attività non consentite dallo stesso, non introduce espressamente alcuna disciplina speciale o derogatoria in materia di trasferimento di ramo d’azienda, quale possibile strumento per il raggiungimento dell’obiettivo normativamente imposto. Pertanto, una volta che la società abbia scelto di procedere a una scissione parziale con conferimento delle attività scisse a una società di nuova costituzione, il trasferimento di ramo d’azienda che ne consegua implica il rispetto dei presupposti di applicazione dell’art. 2112 c.c. (Trib. Trieste 20/11/2014, Pres. e Rel. Burelli, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Francesco Di Martino, 619)
- Le regole contenute nell’art. 2112 c.c. trovano applicazione solo laddove il ramo d’azienda ceduto consista in una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma, con esclusione di strutture produttive create ad hoc in occasione del trasferimento. Tale nozione è coerente con la disciplina comunitaria contenuta nella Dir. 2001/23 CE, secondo la quale “è considerato trasferimento … quello di un’attività economica che conserva la propria identità”, atteso che il termine “conserva” implica che l’autonomia funzionale del ramo d’azienda deve preesistere al trasferimento. Il caso di specie non è sussumibile in questa nozione, in quanto i beni e il personale trasferiti alla società di nuova costituzione erano in precedenza adibiti ad attività e servizi articolati per “materie”, e non già per tipologia di soggetto a cui il servizio veniva fornito, non esistendo dunque una preesistente articolazione funzionalmente autonoma dedicata alle attività oggetto della cessione. (Trib. Trieste 20/11/2014, Pres. e Rel. Burelli, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Francesco Di Martino, 619)
- Non può ammettersi trasferimento di ramo d’azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. Tanto infatti contrasterebbe sia con le Direttive Comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest’atto “un’entità economica che conservi la propria identità” ossia un assetto già formato, sia con gli artt. 4 e 36 della Cost. che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori a un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi. (Cass. 12/8/2014 n. 17901, Pres. Roselli Est. Npoletano, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Marco Sartori, 49)
- Sussiste l’interesse ad agire in giudizio del lavoratore affinché venga accertata l’insussistenza del trasferimento di un ramo d’azienda e conseguentemente l’inefficacia della cessione del contratto di lavoro senza consenso stante l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. e l’operatività dell’art. 1406 c.c. (Cass. 27/5/2014 n. 11832, Pres. Roselli Rel. Buffa, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di V. Montemurro, “I requisiti di ‘autonomia’ e ‘preesistenza’ alla luce dei nuovi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali”, 90)
- Affinché possa dirsi legittima una cessione di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. è necessario che il complesso trasferito consista in una struttura aziendale autonoma dal punto di vista funzionale e preesistente alla cessione, non assumendo alcun rilievo la sola decisione del soggetto cedente di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. (Cass. 27/5/2014 n. 11832, Pres. Roselli Rel. Buffa, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di V. Montemurro, “I requisiti di ‘autonomia’ e ‘preesistenza’ alla luce dei nuovi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali”, 90)
- Il risultato, proprio della cessione di azienda, di dismettere la veste di imprenditore e datore di lavoro, con le relative obbligazioni, non può in nessun caso considerarsi vietato dalle norme di garanzia dei lavoratori, atteso che l’applicazione di esse non dipende dall’esserne destinatario un soggetto, anziché un altro; mentre, neppure il motivo illecito (a prescindere dal mancato accertamento in concreto della comunanza a entrambi i contraenti) è configurabile, ove si consideri che ragione determinante di un trasferimento di titolarità di beni ben può essere, del tutto lecitamente, proprio quello di addossare ad altri soggetti obbligazioni e oneri connessi. Dal sistema di garanzie apprestato dalla legge n. 223 del 1991 non è possibile enucleare un precetto che vieti, ove siano già in atto situazioni che possano portare agli esiti regolati dalla legge, di cedere l’azienda, ovvero di cederla solo a condizione che non sussistano elementi tali da rendere inevitabili quegli esiti. La validità della cessione, cioè, non è condizionata alla prognosi favorevole alla continuazione dell’attività produttiva e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario. Si tratta, del resto, di un diritto dell’imprenditore costituzionalmente garantito (art. 41 Cost.), non confliggente con altri diritti costituzionali, considerato che i princìpi generali di tutela della persona e del lavoro non si traducono nel diritto al mantenimento di un determinato posto di lavoro, dovendosi piuttosto riconoscere garanzia costituzionale al solo diritto di non subire un licenziamento arbitrario. (Cass. 22/4/2014 n. 9090, Pres. Stile Est. Mancino, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di A. Gambardella, “La frode alla legge nel trasferimento di ramo di azienda”, 438)
- In ipotesi di cambio di gestione di un appalto, non costituisce trasferimento d’azienda la riassunzione da parte di un nuovo imprenditore di una quota non sostanziale del personale impiegato dell’appalto; al contrario costituisce trasferimento d’azienda la riassunzione di un gruppo di dipendenti specificatamente e stabilmente assegnati a un compito comune in un settore in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera anche in assenza di cessione di elementi materiali. (Trib. Milano 27/8/2013, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2013, 1132)
- Perché sia configurabile un trasferimento d’azienda è necessario che rimanga inalterata, come oggetto del trasferimento, l’entità economica, identificata nel complesso organizzato di persone ed elementi – patrimoniali e non patrimoniali – i quali consentono l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo. (Trib. Gela 10/7/2013, Giud. Solaini, in Lav. nella giur. 2013, 962)
- Si configura trasferimento d’azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio. Il trasferimento non sussiste nel caso di esercizio successivo, da parte di due imprese, nella medesima unità produttiva (nella specie prosecuzione di alcuni o anche di tutti i contratti di appalto già in carico alla ditta individuale), senza alienazione del complesso di beni. (Cass. 1/10/2012 n. 16641, Pres. Vidiri Rel. Gabri, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Alessandra Ingrao, “La nozione di trasferimento d’azienda tra giurisprudenza interna e comunitaria”, 343)
- Si potrebbe ritenere sussistente un contratto di affitto di ramo di azienda e non di tutta l’azienda quando sia possibile individuare in capo all’affittante un’attività economica organizzata anche in data successiva al momento in cui il contratto di affitto ha dispiegato i suoi effetti. Non vi è chi non veda che se tale condizione non si è verificata non si può che concludere nel senso che oggetto del trasferimento è stata l’azienda nel suo complesso, anche laddove la cedente ha mantenuto la titolarità di alcuni rapporti di lavoro (nel caso di specie il rapporto della ricorrente e quello dell’addetta delle pulizie). (Trib. Milano 10/8/2012, Giud. Greco, in Lav. nella giur. 2012, 1227)
- Nell’ipotesi in cui si sia di fronte al trasferimento del pacchetto azionario da una società all’altra, non si è in realtà in presenza di un fenomeno traslativo vero e proprio, bensì di una vicenda rilevante solo dal punto di vista della modificazione degli assetti azionari interni a una società sotto il profilo della loro titolarità, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se totalmente eterodiretta. (Trib. Milano 12/6/2012, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2012, 1118)
- La fusione tra società non determina, nell’ipotesi dell’incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle socierà partecipanti alla fusione: trattatsi pertanto di una vicenda meramente evolutiva e modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo. Ne consegue che la società incorporante risponde dei debiti della società incorporata anche se il rapporto di lavoro è cessato antecedentemente. (Trib. Mantova 30/5/2012, Est. Mantovani, in D&L 2012, con nota di Francesco Palumbo, “Incorporazione di aziende, legittimazione passiva della società incorporante e sorte dei debiti pregressi”, 749)
- Un complesso strutturato di lavoratori, malgrado la mancanza di significativi elementi patrimoniali, materiali o immateriali, può corrispondere a un’entità economica che persegua un proprio obiettivo e che sia sufficientemente strutturata e autonoma: in tale ambito non è possibile escludere che il motivo del trasferimento possa consistere nell’intento di superare uno stato di difficoltà economica né è configurabile un divieto pregiudiziale, ove siano ravvisabili situazioni che possano condurre agli esiti regolati dalla normativa sulla riduzione del personale, di cedere l’azienda ovvero di cederla solo a condizione che non sussistano elementi tali da rendere inevitabili quegli esiti, sicché non può considerarsi di per sé in frode alla legge o concluso per motivo illecito il contratto di cessione d’azienda a soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali e in base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione dell’attività produttiva e dei rapporti di lavoro. (Cass. 18/10/2011 n. 21484, Pres. Roselli Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2012, pag. 92)
- La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente da un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, dei servizi ausiliari, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva 77/187/CE, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico di detto Stato membro. (Corte Giustizia CE 6/9/2011, C-108/10, Pres. Skouris Rel. Ilesic, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di C. Cester, “Il trasferimento del personale ‘ATA’ dagli enti locali allo Stato davanti alla Corte di Giustizia”, 104)
- Quando un trasferimento ai sensi della suddetta direttiva porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e le condizioni retributive previste da detto contratto sono collegate all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente. (Corte Giustizia CE 6/9/2011, C-108/10, Pres. Skouris Rel. Ilesic, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di C. Cester, “Il trasferimento del personale ‘ATA’ dagli enti locali allo Stato davanti alla Corte di Giustizia”, 104)
- La direttiva 77/187/CE si applica, conformemente alla sentenza della Corte di Giustizia 6 settembre 2011, alla fattispecie del trasferimento del personale ATA dalle Province allo Stato in base all’art. 8, l. 3 maggio 1999, n. 124. Al personale trasferito deve essere conservata l’anzianità acquisita nel precedente rapporto così da evitare l’applicazione, in ragione del trasferimento, di un trattamento retributivo sostanzialmente peggiorativo. (Cass. 14/10/2011 n. 21281, Pres. De Luca Est. Tria, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di C. Cester, “Il trasferimento del personale ‘ATA’ dagli enti locali allo Stato davanti alla Corte di Giustizia”, 104)
- La fusione della società per incorporazione – che non determina sempre l’estinzione della società incorporata, né comporta la creazione di un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria – costituisce una fattispecie di trasferimento d’azienda tutte le volte in cui l’impresa, o un ramo di essa, sia trasferita ad altro soggetto. Ne consegue che non può essere sostenuta la cessazione dell’attività aziendale per escludere il diritto alla reintegrazione della lavoratrice illegittimamente licenziata dalla società incorporata. (Cass. 2/9/2010 n. 19000, Pres. ed est. Foglia, in D&L 2010, con nota di Giuseppe Bulgarini d’Elci, “Reintegrazione in ipotesi di fusione per incorporazione”, 1145, e in Lav. nella giur. 2010, 1139)
- Anche in base al testo dell’art. 2112 c.c. precedente le modificazioni introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2011, n. 18, per trasferimento d’azienda deve intendersi qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro. Invero, non osta alla configurabilità del trasferimento la mancanza di un fine di lucro, purché sussista un’organizzazione di mezzi produttivi idonea a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento. (Cass. 7/4/2010 n. 8262, Pres. Roselli Est. Picone, in Orient. giur. lav. 2010, con nota di Benedetto Fratello, “Ancora sulla nozione ante riforma di trasferimento d’azienda”, 76)
- L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro, non incide direttamente sul contratto individuale di lavoro, modificandone il contenuto, ma opera come fonte eteronoma di regolamento, con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale; pertanto, in caso di trasferimento di azienda, l’uso aziendale subisce la stessa sorte del contratto collettivo aziendale applicato dal cedente ed è sostituito dal contratto collettivo aziendale del cessionario, anche se più sfavorevole. (Cass. 17/3/2010 n. 6453, Pres. De Luca Est. D’Agostino, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Giulio Quadri, “Uso aziendale e trasferimento d’azienda”, 814)
- L’art. 2112 c.c., nel esto modificato dalla L. n. 428 del 1990, n. 47, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/Cee (successivamente modificato dal D.Lgs. n. 18 del 2001, art. 1), in applicazione del canone dell’interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario, e in considerazione dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con le sentenze 25 gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98, deve ritenersi applicabile anche nei casi in cui il trasferimento dell’azienda non derivi dall’esistenza di un contratto tra cedente e cessionario, ma sia riconducibile a un atto autoritativo della pubblica amministrazione, con conseguente diritto dei dipendenti dell’impresa cedente alla continuazione del rapporto di lavoro subordinato con l’impresa subentrante, purché si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese. (Cass. 10/3/2009 n. 5708, Pres. Sciarelli Est. Curcuruto, in Orient. Giur. Lav. 2009, 89)
- Gli accordi sindacali conclusi al termine della procedura ex art. 47 della legge n. 428/1990, in materia di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, hanno natura di accordo gestionale. Il recesso unilaterale, esercitato dal cessionario per motivi che non alterano il sinallagma contrattuale, è illegittimo, integrando gli estremi della condotta antisindacale. (Trib. Milano 19/12/2008, Est. Ravazzoni, in Orient. giur. lav. 2009, 58)
- Perché si possa avere un trasferimento d’azienda è necessario che l’oggetto del trasferimento sia un’attività economica strutturata che già prima del trasferimento abbia determinate caratteristiche di entità organizzata e idoena alla produzione di beni e servizi la quale deve conservare la propria identità anche a seguito del passaggio al nuovo imprenditore. Con riferimento poi al ramo d’azienda l’art. 2112 c.c. stabilisce letteralmente che “le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. (Trib. Milano 16/10/2008, Dott. Lualdi, in Lav. nella giur. 2009, 313)
- Nel caso di trasferimento d’azienda, il comportamento del dipendente che rassegni le proprie dimissioni dal rapporto di lavoro con la società cessionaria non integra una rinuncia alla reintegrazione presso l’azienda cedente né un’accettazione degli effetti della cessione del ramo d’azienda, non essendo la decisione di recedere dal rapporto di lavoro con la cessionaria incompatibile con la volontà di far valere in giudizio la perdurante esistenza di un rapporto di lavoro con la cedente, domanda rispetto alla quale il lavoratore conserva interesse ad agire. (Trib. Roma 3/3/2008, Est. Valle, in D&L 2008, 984)
- E’ necessario che il trasferimento di ramo d’azienda interessi un’entità economica preesistente organizzata in maniera autonoma per la produzione e lo scambio di beni o servizi. Ai fini quindi della individuazione del ramo di azienda che viene ceduto è necessario che questo consista in un complesso sufficientemente strutturato, già esistente in azienda, di persone e di elementi che consentono l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo. Va infine ricordato che là dove è stato ritenuto sufficiente ai fini dell’applicabilità del comma 5 dell’articolo 2112 c.c., il trasferimento di sola manodopera è altresì affermato che si deve trattare di manodopera in possesso di particolari e consolidate esperienze, dotata di know how professionale e di un qualificato supporto organizzativo così da integrare, anche attraverso un accurato coordinamento, un servizio autonomo e oggettivamente rilevante nonostante l’assenza di elementi materiali e patrimoniali. (Trib. Milano 12/2/2008, D.ssa Bianchini, in Lav. nella giur. 2008, 1067)
- La verifica della ricorrenza della frode alla legge, che si realizza ove si manifesti una divergenza fra la causa tipica dell’atto negoziale e la determinazione causale del suo autore indirizzata all’elusione di una norma imperativa, è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità ove correttamente e adeguatamente motivata (nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che un contratto di affitto di azienda avesse costituito in concreto il mezzo per eludere le garanzie dei lavoratori di cui all’art. 18 SL). (Cass. 7/2/2008 n. 2874, Pres. Mattone Est. Nobile, in D&L 2008, con nota di Alvise Moro, “Art. 2112 c.c. ed elusione fraudolenta dell’art. 18 SL”, 631, e in Lav. nella giur. 2008, con commento di Gianluigi Girardi, 801)
- Nel caso di mutamento della titolarità della concessione per atto autoritativo della Pubblica Amministrazione, è configurabile un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. qualora il complesso dei beni aziendali, nel passaggio di titolarità, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell’impresa. (Cass. 9/1/2008 n. 199, Pres. La Terza, in D&L 2008, 191)
- In tema di trasferimento d’azienda, deriva dall’art. 2112 c.c. che i mutamenti nella titolarità dell’azienda non interferiscono con rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario, con la conseguenza che questi subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente. Ne consegue che il cessionario può esercitare i poteri disciplinari inerenti il rapporto di lavoro per fatti precedenti la cessione dell’azienda. (Nella specie, la S.C., affermando il principio su esteso, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato dall’impresa cessionaria, escludendo che la stessa fosse priva di legittimazione o interesse a coltivare il procedimento disciplinare per la circostanza che i fatti contestati al dipendente erano precedenti la cessione). (Cass. 27/9/2007 n. 20221, Pres. Mattone Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Gianluigi Girardi, 391)
- L’art. 2112 c.c. accoglie una nozione ampia di trasferimento d’aziend, nozione di fatto equivalente alla sostituzione senza soluzione di continuità in una attività di impresa, con utilizzo di alcuni elementi ella produzione già organizzata dal cessionario; inoltre la norma opera indipendentemente dal fatto che la cessione sia di natura volontaria posto che lo scopo della stessa è quello di salvaguardare la stabilità dei rapporti di lavoro dalle mutazioni soggettive nella conduzione dell’impresa, e non di evitare manovre fraudolente intese a risolvere il rapporto con i dipendenti mediante cessioni di comodo. (Trib. Asti, ord., 28/12/2006, in Dir. e prat. lav. 2008, 1429)
- Si configura trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello subentrante nella gestione; sicché il trasferimento di azienda è realizzabile, sempre che si abbia un passaggio dei beni di non trascurabile entità, anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo. Una volta realizzatosi il trasferimento di azienda, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l’effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio enunciato, ha confermato la sentenza impugnata dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento di un lavoratore e di condanna della ditta cessionaria al pagamento di differenze retributive, sul presupposto che si era venuto a verificare un trasferimento di azienda risultante dalla cessione, in un primo tempo, di un complesso funzionalmente organizzato di beni per lo svolgimento dell’attività produttiva, a cui aveva fatto seguito la successione formalizzata con atto notarile della società ricorrente di tutti i beni della iniziale datrice di lavoro). (Cass. 7/12/2006 n. 26215, Pres. Mercurio Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 629)
- Anche nell’ipotesi di modifica della figura imprenditoriale da ditta individuale in Società in Nome Collettivo (operata attraverso cessione), sussiste il trasferimento d’azienda, poichè, qualunque sia la forma giuridica con cui si attui il mutamento, vi è mutamento del titolare anche laddove rimangano inalterati struttura e fini dell’azienda. (Corte app. Roma 15/6/2006, Pres. Sorace Rel. Franchini, in Lav. nella giur. 2006, 1140)
- Non è in frode alla legge, né concluso per un motivo illecito, il contratto di cessione dell’azienda a soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali e in base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione dell’attività produttiva e dei rapporti di lavoro (Principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte). (Cass. 2/5/2006 n. 10108, Pres. Mattone Rel. Picone, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Enrico Barraco, 877)
- In occasione della cessione di un ramo di azienda, può applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività rimasta alla società cessionaria, purchè esso mantenga, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive dell’impresa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la entenza di merito che aveva negato l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in relazione al trasferimento di larga parte del parco automezzi di una società telefonica, alla società cessionaria del ramo aziendale avente a oggetto l’installazione di reti telefoniche di distribuzione, sulla considerazione che esso era funzionale sia al settore dell’azienda ceduto che a quello rimasto alla società cessionaria, senza considerare che la maggior parte del lavoro di gestione del ramo automezzi riguardasse in realtà il settore oggetto della cessione). (Cass. 22/3/2006 n. 6292, in Lav. nella giur. 2006, 1024)
- Non configura la vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c. una cessione (ovvero un affitto) di un’azienda che mai è entrata a far parte del complesso delle situazioni giuridico patrimoniali dell’alienante. Infatti viene a essere lesa proprio la posizione dei lavoratori ceduti, i quali, a fronte del trasferimento (senza avere occasione di opporsi alla modifica del datore di lavoro) del loro rapporto in capo all’acquirente (affittuario), non hanno la possibilità di esercitare in pieno la tutela di cui alla norma codicistica per tutti i crediti che avevano al tempo del trasferimento. (Trib. Avellino 14/12/2005, Est. Rizzo, in Lav. Nella giur. 2006, 826)
- Ai fini della continuazione dei rapporti di lavoro in base all’art. 2112 c.c. il trasferimento di azienda è verificato anche in mancanza di un atto negoziale tra le due imprese. (Cass. 13/1/2005 n. 493, Pres. Ciciretti Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1468)
- In tema di cessione d’azienda, a norma dell’art. 2560 c.c. l’acquirente risponde solo dei debiti inerenti all’azienda che risultino dai libri contabili; l’iscrizione nei libri contabili si configura, pertanto, come elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente in relazione ai suddetti debiti, senza che possa essere surrogata da altre forme di conoscenza della situazione debitoria dell’azienda eventualmente a disposizione dell’acquirente, atteso che il citato art. 2560 c.c. è norma a carattere eccezionale e perciò insuscettibile di interpretazione analogica. (Trib. Roma 6/10/2004, Est. Marrocco, in Lav. nella giur. 2005, 495)
- Non è applicabile in fattispecie risalente al 1984-1985, l’art. 2112 c.c. nei casi in cui il trasferimento d’azienda derivi non da attività negoziale dei privati ma avvenga in forza di provvedimento autoritativo, essendo mal conciliabili con gli interessi di natura pubblicistica gli obblighi di continuazione del rapporto e di mantenimento del trattamento economico e normativo dei lavoratori, posti a carico del cessionario. L’interpretazione è avvalorata dalla esistenza di numerose norme (art. 5 l. 22 settembre 1960 n. 1054, art. 4 l. 10 novembre 1973 n. 755, art. 13 l. 6 dicembre 1962 n. 1643, art. 7 l. 19 maggio 1975 n. 169, art. 209 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, art. 72 l. 6 ottobre 1978 n. 295, art. 68 l. 22 ottobre 1986 n. 742, art. 12 l. 5 gennaio 1994 n. 36, art. 19 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80) le quali prevedono l’applicazione dell’art. 2112 c.c. ai trasferimenti d’azienda regolati da provvedimenti amministrativi nell’ambito della gestione dei pubblici servizi, di cui non vi sarebbe necessità ove la norma citata si applicasse automaticamente anche in questi casi. Né tale interpretazione configge con la direttiva n. 77/187/Cee che si applica “ai trasferimenti di imprese in seguito a cessione contrattuale o a fusione”, stante anche la circostanza che solo successivamente la giurisprudenza della Corte di giustizia europea e in tempi più recenti le modifiche apportate al testo originario dell’art. 2112 c.c. ne hanno ampliato l’operatività, includendo il “provvedimento” tra le possibili cause del trasferimento (fattispecie relativa al trasferimento del servizio di nettezza urbana del Comune di Roma della gestione in economia, da parte del comune, alla gestione affidata alla azienda municipalizzata Amnu – ora Ama – in applicazione di apposito atto amministrativo). (Cass. 24/3/2004, n. 5934, Pres. Ianniruberto Est. Vidimi, in Giust. Civ. 2005, 458)
- L’art. 2112 c.c. è certamente applicabile anche ai trasferimenti non aventi carattere negoziale quali quelli che si realizzano per effetto di atti di carattere pubblicistico, dovendosi avere riguardo al fenomeno della cessione di azienda oggettivamente inteso, quale che sia la sua fonte, a maggiore ragione dopo l’ultima modifica della norma che parla ora genericamente di provvedimento. (Corte d’appello Milano 9/2/2004, Pres. Mannaccio Relp. Castellini, in Lav. nella giur. 2004, 908)
- La cessione di alcuni macchinari e lavoratori, non accompagnata dalla cessione di un complesso organizzativo autonomo, non è sufficiente a configurare un trasferimento d’azienda o ramo d’azienda e si deve ritenere nullo per frode alla legge il contratto di cessione d’azienda quando la vera ragione sia quella di eludere la legislazione vigente in materia di licenziamento, di cassa integrazione e mobilità, come nel caso in esame in cui il trasferimento è stato disposto per aggirare il rifiuto dei lavoratori al trasferimento e per evitare i costi della mobilità. (Trib. Treviso 4/11/2003, Est. De Luca, in Lav. nella giur. 2004, 141, con commento di Francesca Marchesan)
- Non è applicabile l’art. 2112 c.c. nell’ipotesi in cui il trasferimento d’azienda avvenga in forza di autonoma concessione (nella specie, tramite affidamento ad un commissario governativo della gestione esattoriale per la riscossione dei trbuti) anziché a seguito di attività negoziale. (Cass. 26/2/2003 n. 2936, Pres. Miani Est. MianiCanevari, in Foro it. 2003, parte prima, 2757)
- Il trasferimento ad altra impresa di lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata dall’ estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile dunque di assurgere ad unitaria “entità economica”, non può configurare una cessione di ramo d’azienda cui sia applicabile l’ art. 2112 c.c., ma costituisce mera cessione di contratti di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti. (Cass. 4/12/2002, n. 17207, Pres. Mercurio, Est. Vidiri, in Foro it. 2003 parte prima, 103)
- Perché si abbia trasferimento d’impresa, ai fini della direttiva comunitaria n. 77/187 e successive modificazioni come interpretata dalla Corte di Giustzia delle Comunità europee, l’entità oggetto di trasferimento deve, successivamente al medesimo, conservare la propria identità da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui il tipo d’impresa, la cessione o no di elementi materiali, la riassunzione o no del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate); non osta alla configurabilità del trasferimento la mancanza di un fine di lucro, purché sussista un’organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento. L’attività di un sindacato non è riconducibile a tale ampia nozione di attività economica organizzata e pertanto, quando intervenga una riorganizzazione delle strutture periferiche di una confederazione sindacale, dotate di propria soggettività giuridica e di autonomia d’azione, e si verifichi un passaggio di operatori sindacali e di elementi materiali dell’organizzazione che si scioglie ad altre preesistenti, non è in via di principio configurabile un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. (Cass. 2/8/2002, n. 11622, Pres. Sciarelli, Est. Toffoli, in Riv. it. dir. lav. 2003, 406, con nota di Alessandra Raffi, Nella nozione di trasferimento d’azienda può rientrare la successione tra organizzazioni sindacali?)
- Il trasferimento d’azienda può configurarsi – con riferimento alla posizione del lavoratore – come successione legale di contratto che, per non richiedere, quindi, il consenso del contraente ceduto (lavoratore trasferito) non può essere assimilato alla cessione negoziale per la quale il suddetto consenso opera da elemento costitutivo della fattispecie negoziale. E’agevole al riguardo la considerazione che la causa-e più precisamente la funzione socio-economica cui deve assolvere il trasferimento d’azienda-osta a che a detto trasferimento possa applicarsi la disciplina dettata dagli artt. 1406 e ss. c.c., risultando di palmare evidenza come gli adempimenti richiesti da tale disciplina e la necessità del consenso del contraente ceduto concretizzano un complesso di disposizioni che, per la propria articolazione e la propria rigidità, si presentano come poco permeabili alle esigenze dei processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione industriale e di delocalizzazione delle imprese. Esigenze queste alla cui soddisfazione è funzionalizzata invece la normativa dettata dall’art. 2112 c.c., volta a coniugare le ragioni dell’economia con quelle della tutela del lavoro. Rientrano nella fattispecie del trasferimento d’azienda tutti quei casi in cui, restando inalterate le strutture e l’unità organica dell’azienda, ne venga mutato il solo titolare, indipendentemente dal mezzo tecnico adoperato per trasferire; la vicenda circolatoria, oltre che interessare l’azienda, ossia il complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, può riguardare un solo ramo di essa; il complesso dei beni, oggetto del conferimento dell’azienda (o di un ramo di essa), deve essere idoneo a consentire lo svolgimento di una determinata attività d’impresa, anche se non necessariamente la stessa esercitata dal conferente. (Cass. 23/7/2002, n. 10761, Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2003, 19, con commento di Enrico Barraco)
- La funzione garantistica che la disposizione dell’art. 2112 c.c. assume nei confronti dei lavoratori, in conformità anche alle indicazioni della direttiva n. 77/187 del Consiglio delle Comunità Europee-funzione destinata ad accentuarsi in un contesto di maggior flessibilità del mercato del lavoro, quale scelta alternativa al licenziamento per g.m.o. o alle procedure di mobilità di cui alle leggi nn. 765/1977 e 223/1991-comporta l’accoglimento di una nozione estensiva del trasferimento d’azienda (definitivamente accolta dal d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, attuativoricomprende in esso tutte le ipotesi di trasferimento anche di una singola attività d’impresa, sempre che sia riscontrabile un complesso di beni o di rapporti interessati al fenomeno traslativo. In tale accezione allargata, il trasferimento d’azienda può configurarsi, con riferimento alla posizione del lavoratore come successione legale nel contratto che, non richiedendo il consenso del contraente ceduto, non è assimilabile alla cessione negoziale, per la quale tale consenso opera da elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 1406. c.c. (Cass. 22/7/2002, Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 148, con nota di Franco Scarpelli, Nozione di trasferimento di ramo d’azienda e rilevanza del consenso del lavoratore). della direttiva n. 98/50/CE, che ha riformulato lo stesso art. 2112 c.c.), la quale
- Le gestioni in appalto delle esattorie per la riscossione delle imposte dirette trovano origine e titolo nei provvedimenti di concessione la cui scadenza o revoca, dando luogo ad un caso di cessazione dell’impresa, rende inapplicabile al personale della gestione esattoriale cessata che viene mantenuto in servizio la disciplina ordinaria di cui all’art. 2112 c.c., in tema di trasferimento d’azienda, atteso che il nuovo concessionario subentra a titolo originario in forza di una autonoma concessione. (Cass. 15/7/2002, n. 10262, Pres. Trezza, Est. Filadoro, in Riv. it.lav. 2003, 249, con nota di Leonardo Panagliotti, Prova della subordinazione e inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di avvicendamento tra concessionarie per la gestione in appalto delle esattorie). dir.
- La scriminante tra cessione d’azienda e cessione di singoli beni aziendali è certamente costituita dall’elemento dell’organizzazione e, quindi, della idoneità del complesso organizzato a costituire utile e compiuto strumento di impresa, ancorché non sia necessario che il complesso aziendale sia attualmente (al momento della cessione) produttivo. Peraltro, il ramo d’azienda, come complesso organizzato, è configurabile anche quando manchi o siapatrimoniale-beni materiali o immateriali-e l’organizzazione abbia ad oggetto quasi esclusivamente la manodopera , come sovente accade nella produzione di servizi. (Trib. Milano 27/6/2002, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 392) ridotto ai minimi termini l’elemento
- In assenza di un cessionario imprenditore, si deve rilevare la nullità della cessione di ramo d’azienda-e dei relativi rapporti di lavoro-per illiceità della causa ex art. 1344 c.c. perché stipulato con l’intento di eludere la normativa sui licenziamenti collettivi. Sussistendo, quindi, una continuità del rapporto di lavoro con il cedente, i licenziamenti intimati dal cessionario dovranno essere dichiarati nulli in quanto intimati da soggetto diverso rispetto al reale datore di lavoro. (Corte d’appello Salerno 24/4/2002, Pres. Casale, Rel. Cappelli, in Lav. nella giur. 2003, 688)
- L’art. 2558 c.c., nel prevedere che in caso di trasferimento di azienda la successione del cessionario nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda non aventi carattere personale, prende in considerazione solo i c.d. contratti di azienda e i c.d. contratti di impresa; deve dunque escludersi che tale norma possa essere riferita ad accordi sindacali in materia di lavoro, contenenti la previsione per i lavoratori trasferiti con il loro consenso a una società collegata a quella da cui dipendono, del c.d. diritto al rientro (in caso di futuri cambiamenti nella struttura organizzativa di tale società) nella società di provenienza. (Cass. 2/3/2002, n. 3045, Pres. Amirante, Est. Mercurio, in Riv. it. dir. lav. 2003, 163, con nota di Martina Vincieri, Trasferimento di azienda e successione dell’acquirente in accordi sindacali di rientro dei lavoratori).
- Il trasferimento d’azienda può essere realizzato anche con un atto negoziale innominato essendo sufficiente che si verifichi un mero mutamento della titolarità dell’azienda rimanendone inalterata la struttura. (Trib. Firenze 29/11/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 390)
- E’ nullo il contratto di cessione di ramo d’azienda qualora emerga la comune intenzione delle parti di concludere il negozio per l’illecita finalità di elusione dell’applicazione di norma imperativa di legge relativa ai licenziamenti collettivi (Trib. Nocera Inferiore 29/5/2001, pres. e est. Viva, in Lavoro giur. 2001, pag. 1166, con nota di Menegatti, La frode alla legge nella cessione di ramo d’azienda)
- Deve escludersi l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. per il trasferimento d’azienda nel caso di subentro di un’azienda ad altra nella gestione di un pubblico servizio (nella specie, vi era stato un avvicendamento di società appaltatrici del servizio per la raccolta di rifiuti solidi urbani) (Trib. Napoli 12/7/00, pres. Marconi, est. Lorito, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 693)
- Non è configurabile un’ipotesi di trasferimento d’azienda nel caso di esaurimento di un contratto d’appalto di servizi di pulizia e di successione cronologica nell’espletamento del servizio da parte di altra impresa aggiudicatrice del nuovo contratto, in quanto nella fattispecie difetta il requisito del passaggio ad un diverso titolare, in tutto o in parte, di un complesso di beni organizzato che preservi la sua identità obiettiva. L’art. 4 del C.C.N.L. delle imprese di pulizia, nel disciplinare il cambio di gestione, mira esclusivamente a garantire i pregressi livelli occupazionali attraverso la costituzione di nuovi e distinti contratti di lavoro con l’impresa subentrante, senza alcuna continuità giuridica con i precedenti rapporti (Trib. Napoli 21/6/00, est. Musella, in Dir. lav. 2001, pag. 39, con nota di Nappi, Successione di appalti di servizi e trasferimento d’azienda)
- E’ configurabile un’ipotesi di trasferimento d’azienda non solo quando ad essere trasferirti siano gli elementi materiali che fornivano un’identità commerciale ed un valore economico all’azienda trasferita, ma anche quando oggetto del trasferimento sia soltanto l’organizzazione dell’attività e il know how rappresentato dall’insieme delle competenze e conoscenze dei dipendenti (Trib. Ravenna 8/6/00, est. Riverso, in Lavoro giur. 2000, pag. 949, con nota di Menegatti, Divieto di interposizione, esternalizzazione e trasferimento d’azienda)
- La disciplina posta dall’art. 2112 c.c. in tema di trasferimento d’azienda si attua tra soggetti che svolgono un’attività organizzata allo scopo della produzione o dello scambio di beni o di servizi, contrassegnata da un fine di lucro o, almeno, di redditività, e ha ad oggetto l’azienda intesa come il complesso dei beni organizzati a tal fine, ovvero anche autonome articolazioni della stessa, trovando tale regolamentazione il fondamento nell’inerenza del rapporto di lavoro al complesso aziendale, sicché in tutti i casi in cui la struttura organizzativa e l’attitudine all’esercizio dell’impresa rimangono immutate, nonostante il mutamento del titolare, il rapporto di lavoro non si interrompe (Cass. 3/5/00, n. 5550, pres. De Musis, est. Stile, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 67, con nota di Madera, Brevi osservazioni in tema di trasferimento d’azienda, cessione di singoli beni aziendali e corresponsione del trattamento di fine rapporto)
- In caso di affidamento di un servizio locale, gestito dal Comune, ad una società – s.r.l. o s.p.a. – a tale scopo costituita ai sensi dell’art 22, 3° comma , lett. e) L. n. 142/90, si ha un conferimento di attività, ex art. 34 d.lgs. n. 29793. Devono pertanto osservarsi le procedure di informazione e consultazione previste dall’art. 47, commi 1-4 L.della neo-costituita società trovano applicazione le garanzie di cui all’art. 2112 c.c. (nella fattispecie, è stato anche ritenuto che il rifiuto del trasferimento da parte del dipendente giustifica il recesso da parte dell’amministrazione) (Pret. Bergamo 24/6/99, est. Bondì, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 1292, con nota di Pellacani, Trasferimento di attività e servizi pubblici a società miste ex art 22, L. n. 142/90 ed effetti sui rapporti di lavoro) n. 428/90 e nei confronti del personale che passa alle dipendenze
- Ricorre il trasferimento d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c. quando vi sia sostituzione del soggetto titolare del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’impresa, indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato. Tale complesso di beni consta, di regola, di cose materiali, quali, ad esempio, impianti, macchine, attrezzature, arredi; nonché dell’opera dei dipendenti, che imprime agli aggregati materiali natura e impronta di composito e unitario strumento dell’attività organizzata; si ascrivono altresì tra gli elementi costitutivi dell’azienda i cosiddetti beni immateriali, quali segni distintivi, brevetti, diritti d’autore, ecc.; è infine attributo dell’azienda, considerata nel suo complesso, l’avviamento, che non si esaurisce nella clientela, ma che comprende anche le relazioni con i collaboratori e i fornitori (Pret. Milano, sez. Abbiategrasso, 17/5/99, est. Fagnoni, in D&L 1999, 569)
- E’ ravvisabile il trasferimento d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c. anche in ipotesi di successione di contratti di affitto, in virtù dei quali l’azienda si trasferisce da un affittuario all’altro per il tramite della risoluzione del precedente contratto e della conclusione del nuovo contratto di affitto con il proprietario concedente (Pret. Milano, sez. Abbiategrasso, 17/5/99, est. Fagnoni, in D&L 1999, 569)
- La disciplina dell’art. 2112 c.c. sul trasferimento d’azienda è espressione del principio dell’inerenza del rapporto di lavoro al complesso aziendale, al quale resta legato in tutti i casi in cui questo, restando immutato nella sua struttura, cambi di titolare. Pertanto detta disciplina presuppone che entrambi i soggetti tra i quali si attua il trasferimento svolgano una attività organizzata allo scopo della produzione o dello scambio di beni e servizi ed avente ad oggetto il complesso dei beni organizzati a tal fine e non è applicabile quando all’azienda privata succede un ente pubblico considerata l’estraneità dell’attività dell’ente a qualsivoglia fine di lucro o almeno di redditività (Consiglio di Stato 11/3/99, n. 263, pres. Iannota, est. Lamberti, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 676)
- Ai sensi dell’art. 2112 c.c., il trasferimento d’azienda è configurabile in tutte le ipotesi in cui, ferma restando l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’impresa e quindi immutati il suo oggetto e la sua attività, vi sia soltanto la sostituzione del titolare, ancorché attuata con mezzi tecnico-giuridici diversi dalla vendita, dall’affitto e dalla concessione in usufrutto (Pret. Milano 27/7/98, est. Curcio, in D&L 1998, 1007)
- Ai sensi dell’art. 2112 c.c. il trasferimento di azienda presuppone il trasferimento di un complesso organizzato di beni e, pertanto, non è configurabile nel caso di mera cessione di alcuni macchinari (Trib. Milano 17/4/98, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 1998, 716)
- Il trasferimento d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c. ricorre tutte le volte in cui, in considerazione di particolari rapporti intercorsi tra le parti, sia configurabile una sostituzione della titolarità dell’azienda avvenuta mediante la gestione da parte del cessionario dei rapporti facenti capo all’azienda medesima (Pret. Milano 3/8/94, est. Vitali, in D&L 1995, 141)
Ramo di azienda
- La nozione di ramo di azienda ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. deve ricavarsi dalla giurisprudenza europea, dalla Direttiva n. 2001/23/CE e dalle altre norme europee in materia in base alle quali sono da considerare quali imprescindibili elementi di individuazione del ramo la preesistenza di una entità stabile organizzata in grado di fornire un servizio economicamente utile a qualcuno senza rilevanti apporti esterni e il trasferimento di anche solo una parte di tale entità, che però ne rappresenti l’essenza in termini di utilità funzionale ed economica. (Trib. Roma 5/3/2018, Est. Conte, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Gianni, “Le norme e la giurisprudenza europee non giustificano una interpretazione restrittiva della nozione di ramo d’azienda”, 658)
- Costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall’art. 2112 c.c. l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio e la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione. (Cass. 19/1/2017, n. 1316, Pres. Di Cerbo Est. Guglielmo, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di G. Spinelli, “Azienda e ramo d’azienda nell’art. 2112 c.c.: le (apparenti) contraddizioni della lettura garantistica”, 613)
- Rappresenta elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda nell’ordinamento interno l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali e organizzativi e quindi di svolgere — autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario — il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura che venga contestualmente stipulato tra le parti (App. Firenze 19/12/2016 – Pres. Bronzini, Rel. Tarquini, in Riv. it. Dir. Lav., 2017, con nota di Gionata Cavallini, “L’articolazione funzionalmente autonoma come ‘piccola azienda’: brevi osservazioni sul caso Monte Paschi”, 471).
- Deve escludersi la esistenza di un ramo d’azienda suscettibile di trasferimento ai sensi dell’art. 2112 c.c. nella ipotesi di cessione di un servizio senza la contemporanea attribuzione in uso anche dei programmi applicativi, non assumendo rilievo la mera decisione del cedente di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento (App. Roma 24/3/2017, Pres. Rel. Poscia, in Riv. it. Dir. Lav., 2017, con nota di Gionata Cavallini, “L’articolazione funzionalmente autonoma come ‘piccola azienda’: brevi osservazioni sul caso Monte Paschi”, 471).
- In relazione alla fattispecie della cessione di ramo d’azienda prevista dall’art. 2112 c.c., ne costituisce elemento costitutivo, anche nel testo modificato dall’art. 32 d.lg. n. 276 del 2003, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali e organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio di necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall’art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l’operatività (Cass. 26/8/2016, n. 17366, Pres. Di Cerbo, Rel. Ghinoy).
- Costituisce elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall’art. 2112 c.c. l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo — già al momento dello scorporo dal complesso cedente — di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi e quindi di svolgere (autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario) il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti (Cass. 19/1/2017, n. 1316, Pres. Di Cerbo, Rel. Cinque, in Rivista del Notariato 2017, 2, II, 319).
- È nullo il trasferimento di un ramo d’azienda creato in occasione del trasferimento, con conseguente esternalizzazione di attività, ove il ramo non sia preesistente, funzionalmente autonomo e in grado di conservare l’identità nel trasferimento. (Trib. Siena 17/4/2015, Giud. Cammarosano, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Riccardo Diamanti, “Trasferimento di ramo d’azienda, preesistenza e autonomia alla luce della più recente giurisprudenza comunitaria”, 1191)
- La Corte di Giustizia ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo e sia sufficientemente strutturata e autonoma. Il criterio selettivo dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, letto conformemente alla disciplina dell’Unione, consente di affrontare e scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si traducano in forme incontrollate di espulsione di personale. (Cass. 24/10/2014 n. 22688, Pres. Vidiri Est. Amendola, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Biagiotti, “Ripensando l’«articolazione funzionalmente autonoma»: una lettura controversa della nozione, 3)
- Per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità. Il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza dei rapporti di lavoro ad un ramo d’azienda già costituito. (Cass. 19/10/2014 n. 21503, Pres. Stile Est. Tricomi, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Biagiotti, “Ripensando l’«articolazione funzionalmente autonoma»: una lettura controversa della nozione, 3)
- Per ramo autonomo d’azienda deve intendersi, ai fini della trasferibilità dello stesso, ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in occasione del trasferimento, conservi la propria identità, presupponendosi dunque una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento. Il ramo d’azienda ceduto può comprendere anche beni immateriali, ma non può mai ridursi solo a essi. (Cass. 9/5/2014 n. 10128, Pres. Roselli Est. Tricomi, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di M. Pallini, “La rilevanza del consenso del lavoratore nelle operazioni di esternalizzazione”, 426)
- Ai fini della configurabilità di un valido contratto di trasferimento di ramo d’azienda, piuttosto che di una mera cessione dei contratti di lavoro, illegittima in quanto carente del consenso dei lavoratori coinvolti, è necessario che il ramo oggetto della cessione risulti funzionalmente autonomo, come una sorta di piccola azienda in grado di operare autonomamente, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, che presuppone una realtà produttiva funzionalmente esistente, non integrata da una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo. (Trib. Catanzaro 6/11/2013, Giud. Linarello, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Elena Lanfranchi, “Ancora sui requisiti del ramo d’azienda: lo stretto rapporto tra l’autonomia e la persistenza”, 27)
- Nella nozione di cessione di ramo di azienda rientra ogni ipotesi di trasferimento anche di una singola attività di impresa, sempre che sia riscontrabile un complesso di beni o di rapporti interessati al fenomeno traslativo. In tale accezione, il trasferimento di azienda può avere a oggetto anche i soli lavoratori, i quali per essere stati addetti a un medesimo ramo dell’impresa ed in virtù delle nozioni e delle esperienze acquisite siano capaci di svolgere le proprie funzioni presso il nuovo datore di lavoro anche prescindendo dall’ulteriore supporto dei beni immobili, dei macchinari, degli attrezzi da lavoro e/o di altri beni, di talché è indubbio che tale schema negoziale con riferimento alla posizione del lavoratore si risolve in una ipotesi di successione legale del contratto di lavoro subordinato non abbisognevole del consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.p. (Cass. 14/11/2011 n. 23808, Pres. Vidiri Est. Bronzini, in Lav. nella giur. 2012, 91)
- Il connotato essenziale del ramo d’azienda sta nell’elemento dell’organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo, interagenti tra loro e capaci di tradursi in beni e servizi individuabili. Deve, quindi, trattarsi di una articolazione funzionalmente autonoma dotata di una certa oggettività, consistente nell’esistenza di uno scopo o di una funzione comuni, che unifichino e rendano omogeneo il complesso trasferito. (Trib. Milano 9/12/2010, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2011, 326)
- Il “ramo di azienda” ai sensi dell’art. 2112 c.c., nonostante le modifiche introdotte dall’art. 32 del D.Lgs. 10/9/03 n. 276, non può essere disegnato e modificato solo al momento del trasferimento e in esclusiva funzione di esso, ma deve viceversa consistere in un’entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la propria struttura, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente; in difetto di tale requisito, il trasferimento alla cessionaria del rapporto di lavoro del lavoratore dissenziente è inefficace, con conseguente diritto di questi alla riammissione in servizio presso la cedente (nella fattispecie, il Giudice ha escluso la riconducibilità alla fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. della cessione di una testata editoriale le cui pubblicazioni erano terminate due anni prima dell’asserito trasferimento per riprendere solo alcuni mesi dopo di esso con un progetto diverso e con parte soltanto del personale precedentemente addetto). (Trib. Milano 21/7/2010, Est. Gasparini, in D&L 2010, 1077)
- Perché si possa avere un trasferimento d’azienda è necessario che l’oggetto del trasferimento sia un’attività economica strutturata che già prima del trasferimento abbia determinate caratteristiche di entità organizzata e idoena alla produzione di beni e servizi la quale deve conservare la propria identità anche a seguito del passaggio al nuovo imprenditore. Con riferimento poi al ramo d’azienda l’art. 2112 c.c. stabilisce letteralmente che “le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. (Trib. Milano 16/10/2008, Dott. Lualdi, in Lav. nella giur. 2009, 313)
- Per ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità economica autonoma e organizzata in maniera stabile, la quale in occasione del trasferimento conservi la sua identità. (Trib. Milano 28/8/2008, Est. Tanara, in Orient. della giur. del lav. 2008, 677)
- Il ramo d’azienda, in quanto entità economica organizzata in maniera stabile che conserva la propria identità in occasione del trasferimento, presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo; tale nozione di ramo d’azienda è utilizzabile anche quando i fatti di causa sono precedenti rispetto alle modifiche legislative introdotte dalla Direttiva n. 98/50, in quanto frutto dell’elaborazione giurisprudenziale a livello comunitario e come tale vincolante per il giudice nazionale, in virtù del principio di supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale, da cui deriva, per il giudice nazionale, l’obbligo di un’interpretazione adeguatrice. La validità della cessione non è condizionata alla prognosi favorevole alla continuazione dell’attività produttiva, e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario. Ferme restando le garanzie predisposte a tutela dei lavoratori, nessun limite, neppure implicito, è stato posto alla libertà dell’imprenditore di dismettere l’azienda, il che dimostra l’inconsistenza giuridica della tesi della nullità di una cessione che, lungi dal tendere alla conservazione dell’azienda, si realizzi in condizioni e con modalità tali da renderne probabile la dissoluzione. (Trib. Milano 18/7/2008, Est. Cincotti, in Orient. della giur. del lav. 2008, 656)
- Per ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c. (così come modificato dalla L. 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica autonoma e organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, senza che sia necessaria anche la completezza materiale e l’autosufficienza del gruppo. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto che la cessione del servizio esattoriale, operata da un istituto di credito, integrasse un’ipotesi di cessione di ramo d’azienda, non rilevando – ai fibni della sussistenza dei requisiti di autonomia funzionale e organizzativa – che il 5% dei dipendenti svolgesse compiti (bancari ed esattoriali) e che il settore si avvalesse di alcuni servizi operativi – il centralino, il servizio paghe, supporti informatici – della banca. (Cass. 5/3/2008 n. 5932, Pres. Sciarelli Est. Maiorano, in Lav. nella giur. 2008, 733)
- Anche successivamente alle modifiche introdotte nell’art. 2112 c.c. dall’art. 32 D.Lgs. 10/09/03 n. 276, per ramo d’azienda deve intendersi un’entità economica funzionalmente autonoma e preesistente come tale al trasferimento, e che con la vicenda traslativa mantiene la propria identità; in difetto di tale requisito, il trasferimento alla cessionaria del rapporto di lavoro del lavoratore dissenziente è illegittimo, con conseguente diritto di questi alla riammissione in servizio presso la cedente. (Trib. Roma 3/3/2008, Est. Valle, in D&L 2008, 984)
- Può configurarsi il trasferimento di un ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 del D.Lgs. 276/2003, solo qualora il ramo ceduto abbia le caratteristiche dell’articolazione funzionalmente autonoma e sia preesistente al trasferimento conservando la sua identità al momento del trasferimento. (Trib. Milano 29/2/2008, in Dir. e prat. lav. 2008, 1429)
- Anche successivamente alle modifiche all’art. 2112 c.c. apportatedall’art. 32 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, affinché si possa avere un trasferimento di ramo d’azienda è necessario che questo consista in un’entità economica per la produzione di beni e servizi, preesistente al trasferimtn, organizzata in maniera autonoma da persone e da elementi che consentano l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo; tale entità economica può anche essere caratterizzata dalla prevalenza delle risorse umane rispetto ai beni materiali, purché si tratti di risorse in possesso di particolari e consolidate competenze e dotate di un qualificato supporto organizzativo che consenta di integrare, anche attraverso un accurato coordinamento, un servizio autonomo ed effettivamente rilevante (nella fattispecie, è stato escluso che la mera cessione di contratti per i servizi di pulizia possa configurare cessione di ramo d’azienda nel senso sopra indicato). (Trib. Milano 12/2/2008, Est. Bianchini, in D&L 2008, 590)
- Per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 c.c. (così come modificato dalla legge 2 febbraio 2001 n. 18 in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto a un ramo d’azienda già costituito. Ne consegue che può applicarsi la disciplina dell’art. 2112 c.c. anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività rimasta alla società cessionaria, purché esso mantenga, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive dell’impresa e che, in presenza di tale presupposto, si considerano far parte del ramo di azienda – sicché i reciproci rapporti vengono trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 c.c., senza necessità di un loro consenso, i dipendenti che prestano la loro attività non solo esclusivamente, ma anche prevalentemente, per la produzione di beni e servizi del ramo aziendale. (Rigetta, App. Trieste, 15 aprile 2004). (Cass. 1/2/2008 n. 2489, Pres. Ciciretti Est. Picone, in Dir. e prat. lav. 2008, 2110)
- Elemento fondamentale per distinguere, in caso di semplice trasferimento di dipendenti, la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. dalla mera cessione dei contratti medesimi, deve rinvenirsi nella prova dell’esistenza di un’organizzazione che venga a includere i lavoratori, tanto da poterli considerare un’entità economica organizzata per la produzione elo scambio di beni e servizi, qualificabile, quindi, come un ramo di azienda. (Trib. milano 8/10/2007, Pres. Di Leo, in Lav. nella giur. 2008, 204)
- Il trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., anche alla luce della nuova definizione contenuta nell’art. 32 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, presuppone la preesistenza di un’entità economica organizzata in maniera autonoma per la produzione o lo scambio di beni o servizi, la cui esistenza e consistenza non può essere viceversa affidata alla volntaria determinazione del cedente e del cessionaria espressa al momento del trasferimento, con la conseguenza che, in difetto di tale presupposto, deve ritenersi illegittimo il trasferimento alla cessionaria del rapporto di lavoro del lavoratore dissenziente con conseguente diritto di quest’ultimo alla reintegrazione nel posto di lavoro alle dipendenze dell’impresa cedente. (Trib. Milano 4/5/2007, Est. Frattin, in D&L 2007, 466)
- In occasione della cessione di un ramo d’azienda, può applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività rimasta alla società cessionaria, purchè esso mantenga, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive dell’impresa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in relazione al trasferimento di larga parte del parco automezzi di una società telefonica, alla società cessionaria del ramo aziendale avente a oggetto l’installazione di reti telefoniche di distribuzione, sulla considerazione che esso era funzionale sia al settore dell’azienda ceduto che a quello rimasto alla società cessionaria, senza considerare che la maggior parte del lavoro di gestione del ramo automezzi riguardasse in realtà il settore oggetto della cessione). (Cass. 22/3/2006 n. 6292, Pres. Senese Rel. D’Agostino, in Dir. e prat. lav. 2006, 2678, e in Riv. it. dir. lav. 2007, 412)
- La nozione di ramo d’azienda, ai fini dell’applicazione della disciplina in tema di trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., va individuata sulla scorta della giurisprudenza comunitaria, nella identità dell’entità economica ceduta e dell’insieme dei mezzi organizzati. (Trib. Milano 30/7/2005, Est. Ravazzoni, in Orient. Giur. Lav. 2005, 614)
- Ai fini di ritenere applicabile l’art. 2112 c.c., relativo al trasferimento dell’azienda, anche al trasferimento di un ramo dell’attività aziendale, è necessario che sia ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi, mentre è da escludersi che il ramo d’azienda possa essere identificato come tale solo al momento del trasferimento ed in esclusiva funzione di esso, in quanto ciò consentirebbe di estromettere dall’impresa i lavoratori eccedenti, senza rispettare per essi le garanzie previste dal rapporto di lavoro preesistente, quali sussistenza di contratti collettivi o diritto alla stabilità del posto di lavoro. (In applicazione del su indicato principio di diritto, la Suprema Corte ha ritenuto esente da vizi di motivazione la sentenza del giudice di merito che, a fronte di un processo di “esternalizzazione”, ovvero di cessione all’esterno di svariati singoli servizi da parte di un’impresa, non aveva ritenuto che la cessione avesse ad oggetto una realtà organizzativa riconducibile alla nozione di unità produttiva, e peratnto aveva qualificato l’operazione come cessione di una pluralità di rapporti lavorativi non assoggettabili alla normativa di cui all’art. 2112 c.c. e necessitante, per il suo perfezionamento, del consenso del lavoratore ceduto. (Cass. 4/12/2002, n. 17207, Pres. Mercurio, Rel. Vidiri, in Lav. nella giur. 2003, 429, con commento di Giorgio Mannacio; in Foro it. 2003, parte prima, 458, con nota di R.Cosio, “La cessione del ramo d’azienda: un cantiere ancora aperto”)
- La prospettiva di tutela del lavoratore caratterizzante la disciplina del trasferimento di azienda impone una nozione restrittiva di ramo di azienda che, per essere tale, deve avere una sua autonomia funzionale e non costituire, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro; tale autonomia funzionale deve intendersi nel senso che essa non può essere meramente potenziale presso il cedente, ma il ramo di azienda deve preesistere alla vicenda traslativa, prima della quale deve essere identificabile e idoneo a funzionare autonomamente, (Cass. 25/10/2002, n. 15105, Pres. Mercurio, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 149; in Foro it. 2003 parte prima, 104; in Argomenti dir. lav. 2003, 619; in Giur. It. 2003, 2052).
- Affinché possa parlarsi di ramo d’azienda oggetto di traslazione ai sensi dell’art. 2112 c.c., anche prima della novella introdotta dal D. Lgs. 2/2/01 n. 18, è necessario che lo stesso abbia una preesistente organizzazione ed autonomia funzionale presso il cedente, in mancanza delle quali, non applicandosi l’automatismo di cui all’art. 2112 c.c., è necessario il consenso dei dipendenti ceduti affichè il rapporto di lavoro si instauri con l’impresa subentrante. (Cass. 25/10/2002 n. 15105, Pres. Mercurio Est. Picone, in D&L 2002, 905, con nota di Lorenzo Franceschinis, “Il caso Ansaldo all’esame della Cassazione: è ramo d’azienda solo se vi è autonomia funzionale ed organizzativa preesistente al trasferimento”)
- La nozione di trasferimento di azienda deve essere interpretata in maniera ampia e secondo più attenuati caratteri di materializzazione, così da considerare quale “attività economica” suscettibile di figurare come oggetto del trasferimento anche i soli lavoratori che, per essere stati addetti ad un ramo dell’impresa e per aver acquisito un complesso di nozioni ed esperienze, siano capaci di svolgere autonomamente le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro. (Cass. 23/7/2002, n. 10761, Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 148, in Argomenti dir. lav. 2003, 628).
- Il trasferimento di ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., ha per oggetto un complesso funzionale di beni ed attività idoneo di per sé a consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale; non sussiste pertanto trasferimento di ramo d’azienda rilevante ai sensi dell’art. 2112 c.c., nel caso di cessione di mere attività o servizi interni all’impresa cedente, privi d’autonomia tecnico finanziaria ed organizzativa rispetto al resto dell’azienda (nella fattispecie, è stata esclusa l’applicabilità della norma in esame con riferimento ad un trasferimento avente ad oggetto i servizi di sorveglianza, in quanto privo di autonomia tecnico finanziaria ed organizzativa rispetto al resto dell’azienda). (Trib. Milano 6/3/2002, Est. Peragallo, in D&L 2002, 646, con nota di Alberto Guariso, “Trasferimento di ramo d’azienda: ultimi bagliori in attesa del “patto per l’Italia”)
- L’art. 2112 c.c. deve essere interpretato conformemente alla lettera ed allo scopo delle direttive comunitarie sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese e tenuto conto dell’interpretazione di tali direttive data dalla Corte di Giustizia Ce, secondo cui l’oggetto del trasferimento d’aziende deve essere un’entità economica organizzata in modo stabile, sufficientemente strutturata ed autonoma, in cui l’attività economica già svolta dal cedente e proseguita dal cessionario è soltanto indice dell’identità economica trasferita e, quindi, della continuità dell’impresa, non costituendo di per sé sola un’autonoma entità economica la quale, per essere tale, deve necessariamente essere accompagnata da altri elementi, quali il personale che la compone, l’organizzazione ed i mezzi di gestione a sua disposizione; ne consegue che, ai sensi dell’art. 2112 c.c., rileva come ramo d’azienda esclusivamente la singola unità produttiva che sia composta da beni tali da costituire idoneo e compiuto strumento di impresa alla luce della sua autonomia organizzativa, produttiva e funzionale rispetto al più ampio contesto dell’impresa alienante e che costituisca un complesso funzionale di beni di per sé idoneo a consentire l’inizio o la prosecuzione di una determinata attività di impresa (nella fattispecie è stata esclusa l’applicabilità della norma in esame con riferimento ad un trasferimento avente ad oggetto il reparto dove venivano svolte le attività di montaggio dei beni prodotti dal cedente in quanto privo di autonomia funzionale rispetto al resto dell’azienda). (Trib. Vigevano 11/12/2001, Est. Scarzella, in D&L 2002, 383)
- La determinazione dell’effettiva consistenza del ramo d’azienda rientra nell’autonomia contrattuale del titolare dell’azienda, non essendo richiesta anche unpreesistente autonomia organizzativa ed economica, pertanto è sufficiente ad integrare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. anche il trapasso di determinati beni e servizi anche distinti dall’attività principale e tra loro eterogenei, purché sia ravvisabile un’autonomia funzionale almeno potenziale presso il cedente, intesa come idoneità ad assumere un autonomo ed apprezzabile valore di mercato nel momento della separazione dall’organizzazione di partenza (Corte d’appello Milano 11/3/00, pres. Mannaccio, in Argomenti dir. lav. 2000, pag. 433)
- Poiché per parlarsi di azienda o di ramo d’azienda suscettibile di trasferimento ex art. 2112 c.c. deve aversi un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività sufficientemente strutturata e autonoma, tali requisiti dell’oggetto del trasferimento (organizzazione e autonomia) debbono necessariamente preesistere al trasferimento dello stesso e non possono rappresentarne una conseguenza, giacché se l’organizzazione imprenditoriale dei mezzi produttivi in vista dello svolgimento di una determinata attività potesse essere oggetto dell’apporto esclusivo del nuovo imprenditore, il concetto di azienda o di ramo d’azienda ne risulterebbe svuotato di contenuto, potenzialmente ridotto al mero elemento materiale, e potrebbe aprire la strada a usi strumentali dell’art. 2112 c.c. (principio generale di non cedibilità del contratto in assenza del consenso del contraente ceduto) e all’elusione di norme imperative di legge (licenziamenti collettivi) (Trib. Genova 10 settembre 1999, pres. Russo, est. Verrina, in D&L 2000, 196)
- Ai fini della distinzione tra la fattispecie della cessione dell’azienda o di un ramo della stessa e l’alienazione di singoli elementi dell’azienda è necessario prendere in esame la natura oggettiva del vincolo che deve legare tra loro le singole componenti: non è sufficiente la volontà del datore di lavoro di destinare determinati beni ad uno scopo produttivo né basta l’attribuzione ad essi della qualità di “azienda” ad opera delle parti stipulanti il negozio di trasferimento, ma è necessario che tali beni siano organizzati e coordinati per il perseguimento di tale scopo produttivo mediante un legame obiettivo immanente alla struttura che deve preesistere al trasferimento (Trib. Genova 7/9/99, pres. Russo, in Argomenti dir. lav. 2000, pag. 422. In senso conforme, v. Trib. Genova 4/11/99, pres e est. Russo, in Argomenti dir. lav. 2000, pag. 427)
Cessione del rapporto di lavoro
- Se più sono i cessionari di azienda, il rapporto di lavoro si trasferisce, se possibile, a ciascuno di essi, in proporzione alle funzioni del lavoratore interessato.
Nel caso esaminato, si trattava della dipendente di un’impresa di pulizia belga, con mansioni di responsabile di tre cantieri, nei quali, a seguito di trasferimento d’azienda, erano subentrate due diverse imprese, la prima per due cantieri e l’altra per il terzo. Poiché nessuna delle cessionarie aveva riconosciuto gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, la lavoratrice aveva promosso un giudizio in cui era stata poi posta alla Corte di giustizia la questione incidentale alla quale la Corte ha dato la risposta di cui alla massima. La Corte ha altresì aggiunto che, nel caso in cui la divisione del rapporto tra le due cessionarie non sia possibile o arrechi pregiudizio ai diritti o alle condizioni di lavoro del dipendente, la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro va considerata come dovuta a fatto dei cessionari, anche se intervenuta per iniziativa del lavoratore. (Corte di Giustizia UE 26/3/2020 n. C-344/18, Pres. Vilaras Rel. Piçara, in Wikilabour, Newsletter n. 7/2020) - A differenza della ipotesi di mera esternalizzazione di servizi, configurabile quale cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti ex art. 1406 c.c., nelle ipotesi di cessione di azienda si realizza, con riferimento alla posizione del lavoratore, una successione legale nel contratto che non richiede il consenso del contraente ceduto, il quale potrà successivamente esercitare il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dal c. 4 dell’art. 2112 c.c., posto che né il diritto dell’Unione Europea né l’attuale normativa interna riconoscono in capo al lavoratore un diritto di opposizione al trasferimento, rimanendo irrilevante il suo consenso a quest’ultimo. (Cass. 23/5/2017, n. 12919, Pres. Spena Est. Lorito, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di A. Curcio, “Attuale assenza di un diritto di opposizione del lavoratore al trasferimento ex art. 2112 c.c.”, 592)
- Nei casi di cessione del ramo d’azienda il dipendente illegittimamente escluso dal trasferimento impugna il provvedimento di esclusione senza soggiacere ai termini decadenziali dell’art. 32, L. n. 183/2010. L’art. 2112 c.c. non è derogabile in virtù di accordi sindacali al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 47, comma 4 bis, L. n. 428/1990. L’azione promossa nei confronti del cessionario per violazione dell’art. 2112 c.c. è cumulabile con quella promossa contro l’originario datore di lavoro. (Trib. Roma 24/5/2016, Giud. Pagliarini, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Maria Antonia Grazia, 1000)
- Nel caso di illegittimo trasferimento del ramo d’azienda con la conseguente reintegrazione alle dipendenze dell’impresa cedente, la sottoscrizione di un accordo conciliativo tra impresa cessionaria e lavoratori non inficia l’interesse di questi ultimi ad agire nei confronti dell’impresa cedente, posto che lo svolgimento in via di fatto delle prestazioni lavorative non equivale ad accettazione della cessione del contratto di lavoro. (Corte app. Firenze 1/10/2015, Pres. ed Est. Bronzini, con nota di Chiara De Santis, “Trasferimento del ramo d’azienda e tutele del lavoratore”, 49)
- Il principio secondo cui nel trasferimento d’azienda il lavoratore conserva tutti i diritti maturati alla data della cessione non consente al medesimo dipendente di rivendicare – sulla base delle norme collettive in vigore presso il cessionario e in modo retroattivo (ossia a far data dall’assunzione alle dipendenze dell’ente di provenienza) – un diritto a “scatti” retributivi non previsto dalla disciplina collettiva applicata dal cedente e pertanto estraneo al patrimonio giuridico dello stesso al momento del trasferimento. (Cass. 5/6/2013 n. 14208, Pres. Roselli Rel. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Giovanni Spinelli, “Al trasferimento di personale dal Comune alla società di gestione si applica l’art. 2112 c.c., ma gli scatti di anzianità si calcolano ex nunc”, 70)
- Il mutamento di titolarità dell’azienda non interferisce con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente che continuano a tutti gli effetti con il cessionario il quale subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al primo; la natura precaria dell’effetto estintivo del licenziamento intimato prima del trasferimento dell’azienda e l’ipotetico ripristino, in caso di suo annullamento, del rapporto di lavoro fra le parti originarie, determina la legittimazione passiva del cessionario e rispetto all’impugnativa di quel licenziamento. (Cass. 12/4/2010 n. 8641, Pres. Battimiello Rel. Curcuruto, in D&L 2010, con nota di Paolo Perucco, “La legittimazione passiva del cessionario d’azienda nell’annullamento del licenziamento intimato prima del suo trasferimento”, 572)
- La Suprema Corte ribadisce il principio secondo il quale, in caso di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, ai rapporti di lavoro dei dipendenti ceduti si applica la contrattazione collettiva dell’impresa cedente solo se manca, presso il cessionario, un contratto collettivo di pari livello. Altrimenti si verifica, fra contratti del medesimo livello, una sostituzione automatica delle norme di fonte collettiva in vigore presso l’impresa cessionaria, fatti salvi i diritti quesiti. Il medesimo principio regolatore trova applicazione in materia di usi aziendali, anch’essi secondo la Corte di Cassazione, al pari dei contratti collettivi, fonti eteronome di regolamento dei rapporti individuali di lavoro. (Cass. 11/3/2010 n. 5882, Pres. Roselli Est. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Elisabetta Bavasso, 785)
- L’esecuzione conforme del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario del ramo di azienda per circa sette anni, senza avanzare alcuna riserva o contestazione, è idonea a integrare adesione per comportamento concludente alla prosecuzione del rapporto con il nuovo datore di lavoro. (Trib. Roma 23/10/2008, Est. Baroncini, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Ilaria Alvino, “Sul consenso del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro per comportamento concludente”, 257)
- Il consenso del lavoratore alla cessione del proprio contratto, che può essere espresso anche successivamente alla stipulazione del negozio, non deve risultare da forme solenni e può essere, oltre che espresso, anche tacito, purché manifesti la volontà di porre in essere una modificazione soggettiva del rapporto, con la conseguenza che la sua esistenza può anche essere desunta dalla lunga inerzia del lavoratore nell’opporsi alla cessione del suo rapporto che ha avuto, invece, regolare espressione presso il cessionario. (Trib. Milano 18/9/2008, Est. Cincotti, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Ilaria Alvino, “Sul consenso del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro per comportamento concludente”, 253)
- Il consenso del lavoratore alla cessione del proprio contratto può risultare implicitamente dalla regolare esecuzione del contratto di lavoro presso il cessionario per oltre sei anni, senza che sia espressa alcuna doglianza, tenuto conto del coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nella procedura di cessione del ramo di azienda, della presumibile pubblicità che la procedura ha avuto all’interno dell’azienda e dell’elevato livello di protezione sindacale che ne deriva per i lavoratori. (Trib. Venezia 8/8/2008, Est. Bortolaso, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Ilaria Alvino, “Sul consenso del lavoratore alla cessione del contratto di lavoro per comportamento concludente”, 254)
- In ipotesi di trasferimento di ramo d’azienda, non sussiste la necessità del consenso del lavoratore ai fini del trasferimento del contratto; di conseguenza, non assume rilievo l’opposizione del medesimo. (Trib. Milano 28/7/2008, Est. Beccarini Crescenzi, in Orient. della giur. del lav. 2008, 680)
- A norma dell’art. 2112 c.c. la cessione ex lege del contratto di lavoro (nella psecie, relativa al passaggio dalle dipendenze di un Comune a una società privata di gestione dei servizi di nettezza urbana e cimiteriali) comporta il mantenimento dell’anzianità conseguita presso il precedente datore di lavoro e, con essa, un trattamento economico non inferiore a quello dei colleghi (con pari anzianità e qualifica) dell’impresa cessionari. (Cass. 4/2/2008 n. 2609, in Dir. e prat. lav. 2008, 1430)
- I mutamenti della titolarità dell’azienda non interferiscono con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario, con la conseguenza che questi subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente, assumendo non solo le obbligazioni, ma anche i diritti e i poteri del cedente nella gestione di un identico rapporto di lavoro che continua. Ne consegue la legittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore, intimato dal cessionario, per fatto accaduto prima del trasferimento d’azienda. (Cass. 27/9/2007 n. 20221, Pres. Mattone Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Marco Mocella, “Trasferimento di azienda e traslazione del potere di licenziamento disciplinare”, 817)
- In virtù della differenza di tutela del rapporto di lavoro dei dirigenti (e della diversità del loro status anche sotto i profili previdenziale e sindacale), rispetto a quello delle altre categorie di lavoratori, soggetto alla libera recedibilità da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che i dirigenti non possono fare affidamento sulla stabilità del rapporto, salvo diversa convenzione in tal senso, ma solo su quelle garanzie che derivano dalla contrattazione collettiva, in caso di trasferimento d’azienda in stato di insolvenza non si applica a essi la disposizione dettata dall’art. 47, comma quinto, della L. 29 dicembre 1990, n. 428, che, nell’ipotesi di raggiungimento di un accordo di cui al primo comma del medesimo articolo (finalizzato al mantenimento dei livelli di occupazione), deroga all’art. 2112 c.c., comma primo, c.c., secondo il quale, di norma, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso proposto da un dirigente aziendale nei cui confronti era stato disposto il recesso da parte della società cedente in amministrazione straordinaria dopo che si era perfezionata la cessione dell’azienda, con la conseguente affermazione della legittimità della prosecuzione del rapporto con la concessionaria, sul presupposto che non potesse avere alcuna efficacia il licenziamento intimato da soggetto non risultante più titolare del rapporto. (Cass. 11/1/2007 n. 398, Pres. ravagnani Est. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2007, 1039)
- Nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, in qualunque forma realizzato, il rapporto di lavoro prosegue con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti, con la conseguenza che il licenziamento non fondato su giusti motivi diversi dal trasferimento è nullo e va disapplicato dal giudice, con condanna del datore di lavoro succedutosi al risarcimento del danno alla stregua delle norme di diritto comune (artt. 1218 c.c. ss.) e non degli artt. 18 Stat. Lav. oppure art. 8 della Legge n. 604/66. (Trib. Grosseto 19/12/2006, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2007, 838)
- Il caso di trasferimento d’azienda o comunque di trasferimento della titolarità dell’azienda, con qualunque strumento giuridico effettuato, comporta, ai sensi dell’art. 2112 c.c., la continuazione del rapporto lavorativo con lo stesso contenuto che aveva in precedenza. L’unico presupposto di fatto per l’operatività delle disposizioni dell’art. 2112 c.c. a fravore del lavoratore è che egli sia alle dipendenze dell’imprenditore cedente in un momento anteriore al trasferimento, cosicchè il cessionario abbia acquisito, quale successore nella titolarità dell’azienda, la qualità di nuovo datore di lavoro. (App. Roma 20/3/2006, Pres. Pacioni Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2007, 206)
- L’espressione “modifica sostanziale” delle condizioni di lavoro di cui al comma 4 dell’art. 2112 c.c., deve intendersi riferita al solo caso in cui la variazione in peius di dette condizioni derivi dall’applicazione, al lavoratore ceduto, del contratto collettivo del cessionario in luogo di quello applicato dal cedente. (Trib. Bologna 11/1/2005, Est. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Matteo Marsano, 675)
- Il trasferimento di azienda comporta l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro presso il cessionario, ferma restando, in ogni caso, la facoltà dei lavoratori ceduti di opporsi all’indicato automatismo, rimanendo alle dipendenze del cedente: in tal caso, però, essi si espongono al rischio di essere licenziati, secondo le regole comuni, a causa della cessazione dell’attività cui erano adibiti. (Cass. 28/9/2004 n. 19379, Pres. Sciarelli Rel. Capitanio, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Enrico Barraco, 229)
- La L. n. 58/92, disciplinando il passaggio dal rapporto pubblico al rapporto privato del personale adibito ai servizi di telecomunicazione trasferiti, ha dettato alcune regole speciali, ma non ha sostanzialmente derogato al regime generale di cui all’art. 2112 c.c. il quale dispone, in caso di trasferimento, la continuazione dei rapporti di lavoro e la conservazione dei diritti acquisiti, fra i quali quello dell’inquadramento in atto o questo a corrispondente. Ne consegue che la effettività della tutela va verificata in concreto, analizzando il contenuto specifico delle mansioni sulla base delle vecchie e delle nuove declaratorie, senza che possano al riguardo avere valore vincolante le tabelle di equiparazione tra le qualifiche dei contratti collettivi applicati elaborate dalle parti collettive con accordo del 1993. (Corte d’appello Milano 26/1/2004, Pres. Mannacio Rel. Ruiz, in Lav. nella giur. 2004, 908)
- Per quanto attiene agli Istituto Fisioterapici Ospedalieri, è documentalmente provato che gli stessi sono subentrati nella titolarità della casa di cura ove la ricorrente prestava la propria opera professionale non già in forza di un accordo privato tra la società cedente e la cessionaria, ipotesi che questa ben si attaglia al disposto dell’art. 2112 c.c., bensì ope legis, il che esclude l’applicabilità di quella normativa per la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato.(Trib. Roma 26/6/2004, Est. Coco, in Lav. nella giur. 2004, 1211)
- In caso di cessione di ramo d’azienda, la garanzia della continuazione del rapporto di lavoro dei dipendenti addetti al ramo ceduto, assicurata dall’art. 2112 c.c. e dall’art. 47 della legge n. 428 del 1990 ben può attuarsi, nel rispetto della procedura di consultazione sindacale di cui al citato art. 47, con il mantenimento, da parte della impresa cedente, nelle attività aziendali non interessate dalla cessione, dei rapporti di lavoro con i dipendenti, già addetti alla attività oggetto di cessione, senza che la esclusione del passaggio dei predetti dipendenti alla cessionaria comporti una lesione del diritto di costoro. (Cass. 13/12/2003 n. 19105, Pres. Mattone, Rel. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2004, 1033)
- E’ irrilevante il consenso dei lavoratori ai fini del passaggio automatico dei rapporti di lavoro ai sensi dell’art. 2112 c.c. dal cedente al cessionario del ramo d’azienda. (Cass. 25/10/2002 n. 15105, Pres. Mercurio Est. Picone, in D&L 2002, 905, con nota di Lorenzo Franceschinis, “Il caso Ansaldo all’esame della Cassazione: è ramo d’azienda solo se vi è autonomia funzionale ed organizzativa preesistente al trasferimento”)
- Il trasferimento di azienda si configura come successione legale nella titolarità del contratto, che non richiede il consenso del lavoratore trasferito, a ciò ostando la causa dell’istituto che, al fine di soddisfare le esigenze dei processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione industriale e di delocalizzazione delle imprese, non è compatibile con l’applicazione dell’art. 1406 c.c. (Cass. 23/7/2002, n. 10761, Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 148. In senso conforme, Cass. 25/10/2002, n. 15105, Pres. Mercurio, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 149).
- Ai sensi dell’art. 2112 c.c., nel caso di trasferimento di ramo d’azienda, l’appartenenza del lavoratore al ramo d’azienda va determinata con riferimento alla prevalenza delle mansioni svolte nel senso che devono considerarsi come addetti al ramo d’azienda ceduto quei lavoratori che sono stati in precedenza destinati pressochè totalmente al settore ceduto. (Corte d’Appello Milano 4/6/2002, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2002, 651)
- In caso di trasferimento di ramo di azienda, i contratti di lavoro degli addetti al ramo ceduto si trasferiscono ope legis in capo al nuovo datore di lavoro, indipendentemente dal consenso del dipendente, il quale-ove non accetti il trasferimento-è solo legittimato alle dimissioni immediate. (Trib. Padova, 25/5/2002, Est. Balletti, in D&L 2002, 978)
- Il trasferimento di ramo d’azienda comporta automaticamente il passaggio del dipendente appartenente al ramo ceduto all’impresa acquirente, senza che tale effetto sia condizionato in alcun modo dal consenso del dipendente stesso (Corte Appello Milano 12/4/01, pres. e est. Mannaccio, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 87. In senso conforme, v. Corte Appello Milano 12/4/01, pres. Ruiz, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 90)
- Nel caso in cui un trasferimento rientrante nella fattispecie dell’art. 2112 c.c., come modificato dall’art. 47, l. 29/12/90, n. 428, non comporti la cessione dell’intera azienda, ma solo di un ramo di essa, un accordo sindacale può legittimamente prevedere il mantenimento alle dipendenze del cedente di alcuni lavoratori, anche se precedentemente addetti alle attività svolte nella parte del complesso aziendale ceduto (Cass. 30/8/00, n. 11422, pres. Ianniruberto, est. Mazzarela, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 519, con nota di Marienlli, Il trasferimento di ramo d’azienda e i suoi effetti sui rapporti di lavoro)
- In caso di trasferimento di ramo d’azienda, cui è applicabile l’art. 2112 c.c., è illegittimo il mantenimento in servizio presso l’imprenditore cedente di un lavoratore addetto al ramo trasferito, ove tale mantenimento non risulti funzionale alle esigenze dell’imprenditore cedente, ma sia finalizzato alla sospensione in Cigs del lavoratore (Trib. Milano 15/5/99, pres. Gargiulo, est. Ruiz, in D&L 1999, 567)
- Nel caso di trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., interpretato alla luce della Direttiva Cee 14/2/77 n. 77/187, la cessione del rapporto di lavoro è automatica solo nei confronti del cedente e del cessionario, ma resta subordinata al consenso del lavoratore ceduto, che a tale cessione potrebbe efficacemente opporsi (Pret. Milano 14/5/99, est. Muntoni, in D&L 1999, 561, n. Chiusolo, Trasferimento di ramo d’azienda, art. 2112 c.c. e normativa comunitaria: la cessione del rapporto di lavoro è subordinata al consenso del lavoratore ceduto)
- Qualora, in occasione della cessione di un ramo d’azienda, sia riconosciuto ai lavoratori ceduti il diritto di ritornare in forza al datore di lavoro cedente, nell’ipotesi di cessazione, entro una certa data, dell’attività cui gli stessi sono addetti, la condizione si ha per avverata allorché il mancato verificarsi della stessa sia imputabile alla responsabilità del cedente (Pret. Roma 8/7/98, est. Sannite, in D&L 1998, 983)
- Il dipendente che – in occasione di un trasferimento d’azienda connesso a crisi aziendale, soggetto alla disciplina della L. 26/5/78 n. 215 – non abbia potuto ottenere il passaggio alle dipendenze dell’acquirente a seguito della mancata attuazione, nell’ordinamento italiano, della direttiva Cee 14/2/77 n. 187, ha diritto di ottenere dal Governo italiano il risarcimento del danno, da commisurarsi alle retribuzioni che avrebbe maturato alle dipendenze dell’acquirente (Pret. Milano 14/7/98, est. Taraborrelli, in D&L 1998, 1024, nota Guariso, A vent’anni di distanza lo Stato risarcisce una vittima della>)
- Ai sensi dell’art. 2112 c.c., applicabile anche in caso di trasferimento di ramo d’azienda, è illegittimo il mantenimento in servizio, presso l’imprenditore cedente, di un lavoratore addetto al ramo trasferito, ove non ricorrano i requisiti di cui all’art. 47, 5° comma, L. 29/12/90 n. 428 (Pret. Milano 31/7/97, est. Vitali, in D&L 1998, 115)
Contratto di ingresso
- Alla luce dell’art. 47, L. 29/12/90 n. 428 deve intendersi che la finalità dell’accordo c.d. di “ingresso” è quella di assicurare che al momento del trasferimento i diritti acquisiti dai lavoratori delle aziende di provenienza siano mantenuti o comunque tutelati al massimo nel possibile conflitto con le esigenze del nuovo assetto datoriale; pertanto, una volta esaurita tale funzione, il contratto collettivo nazionale, successivamente stipulato, ben può modificare in pejus le previsioni di carattere economico di un “accordo di ingresso”. (Nella specie il Pretore ha escluso che l’indennità di anzianità prevista dal contratto integrativo aziendale della Cassa di Risparmio di Piacenza e Vigevano potesse essere corrisposta in misura identica rispetto a quanto previsto dall’accordo di fusione, stante la caducazione di tale accordo e del vecchio contratto integrativo aziendale al momento della stipulazione del contratto integrativo della neo-costituita azienda identificabile nella Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza) (Pret. Piacenza 28/4/97, est. Marchetti, in D&L 1998, 710, n. CECCONI, Sul rapporto fra “accordo di ingresso” e contratto aziendale)
- In ipotesi di trasferimento d’azienda, qualora la procedura di cui all’art. 47 L. 428/90 non sia sfociata in un accordo collettivo (comunque non applicabile ai lavoratori non iscritti alle organizzazioni sindacali firmatarie) che disciplini il trattamento da applicare ai dipendenti trasferiti, il datore di lavoro acquirente non può disporre unilateralmente la sostituzione del contratto collettivo aziendale applicato ai propri dipendenti (Pret. Milano 10/6/96, est. Porcelli, in D&L 1996, 925. In senso conforme, v. Pret. Milano 30/3/95, est. Vitali, in D&L 1995, 569)
- Il cosiddetto contratto di ingresso stipulato in sede aziendale per regolare il trattamento normativo dei dipendenti in occasione di un trasferimento d’azienda, ha natura normativa e non gestionale e come tale non può avere efficacia per i lavoratori che non siano iscritti alle associazione sindacali stipulanti (nella specie il Pretore ha ritenuto applicabile, sulla base di un precedente accordo cui anche il ricorrente aveva aderito, il trattamento normativo vigente presso l’azienda incorporante) (Pret. Bergamo 11/8/95, est. Azzolini, in D&L 1995, 990. In senso conforme, v. Pret. Milano 30/3/95, est. Vitali, in D&L 1995, 569)
Trasferimento di azienda e licenziamento
- Elusiva scissione di ramo d’azienda: inefficace il licenziamento intimato dal non dominus e tutela di diritto comune.
Attraverso una serie di fittizie operazioni di cessione d’azienda e appalto, il ramo d’azienda per attività di imballo e imbustamento veniva scisso, retrocedendo al committente i beni strumentali all’attività e lasciando all’appaltatore la titolarità dei rapporti di lavoro, sui quali andava poi ad incidere una procedura di riduzione del personale. La Corte d’Appello di Bologna accerta il carattere frodatorio dell’operazione di scissione dei beni e il diritto del lavoratore alla costituzione del rapporto di lavoro, ex art. 2112 c.c., in capo al cessionario dei beni e committente del servizio, con inefficacia del licenziamento intimato dalla società formale datrice di lavoro. (Corte app. Bologna 19/2/2020, Pres. Coco Rel. Vaccari, in Wikilabour, Newsletter n. 8/2020) - I principi vigenti in tema di licenziamenti collettivi di cui alla l. n. 223 del 1991, artt. 4 e seguenti, e in particolare quelli relativi alla obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di questi criteri, non si estendono analogicamente alla selezione relativa al passaggio parziale di manodopera in caso di trasferimento di azienda sottoposta a procedura liquidatoria, stante la diversità di ratio dei due istituti e l’assoluta diversità di disciplina. (Cass. 11/3/2018 n. 1383, Pres. Bronzini Est. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di A. Riccio, “Trasferimento di azienda in crisi e scelta dei lavoratori nel caso di passaggio parziale di manodopera”, 576)
- La deroga al divieto di licenziamenti in occasione del trasferimento d’azienda può operare, secondo la Direttiva n. 2001/23/Ce, come interpretata dalla Corte di Giustizia (e, da ultimo, dalla recentissima sentenza del 22.6.2017, C-126/16), solo nell’ambito di una procedura lato sensu liquidativa dell’impresa cedente. (Trib. Milano 25/7/2017, ord., Est. Mariani, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di D. Calderara, “In che termini è possibile la deroga al divieto dei licenziamenti nei trasferimenti d’azienda”, 64)
- In caso di trasferimento d’azienda, il licenziamento illegittimo, intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, non impedisce che il rapporto di lavoro tra le parti originarie si trasferisca in capo al cessionario (Cass. 01/04/2016, n. 6387, Pres. Macioce, Rel. D’Antonio).
- Il licenziamento, motivato con la cessazione dell’attività e la liquidazione della società datrice di lavoro, ma in realtà dovuto alla cessione di ramo d’azienda, è nullo o inefficace, il che giustifica la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore al risarcimento del danno. (Trib. Firenze 7/10/2014, Giud. Rizzo, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Angelo Danilo De Santis, “Errore sul rito, inammissibilità dell’impugnativa del licenziamento e impedimento della decadenza”, 478)
- Alla stregua dell’art. 1334 c.c. – secondo cui gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati – la dichiarazione di volontà, espressa con l’atto unilaterale di recesso, si perfeziona con la sola emissione e a tale momento occorre risalire per valutare la capacità e volontà del dichiarante. Conseguentemente, il cessionario dell’azienda subentra in tutti i rapporti dell’azienda ceduta nello stato in cui si trovano, ivi compreso il rapporto caratterizzato da un licenziamento intimato dal cedente, con onere, per il lavoratore, di impugnare il recesso nei sessanta giorni per evitare di incorrere nella decadenza di cui all’art. 6 della L. n. 604/1966. (Cass. 11/7/2006 n. 15678, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Lav. nella giur. 2007, 86)
- La comunicazione (con cui l’azienda cedente invita il dipendente a presentarsi presso la società cessionaria per la prosecuzione del rapporto di lavoro) non presenta gli estremi del licenziamento. (App. Roma 20/3/2006, Pres. Pacioni Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2006, 206)
- Deve ritenersi illegittimo il licenziamento di fatto intimato dall’impresa cedente allorché risulti provato, sulla base di circostanze gravi, precise e concordanti, che la cessione dello stabilimento cui erano addetti i lavoratori sia stata effettuata al fine di fruire della cessione ex lege dei relativi contratti di lavoro e di conseguenza di concludere i corrispondenti rapporti lavorativi, eludendo in tal modo il sistema di garanzie e tutele previsto per il caso di licenziamento collettivo, con particolare riferimento alle norme (art. 5, L. n. 223/91) che impongono un confronto tra le posizioni di tutti i dipendenti per l’individuazione del personale da porre in mobilità. (Trib. Padova 25/5/2002, Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2003, 361, con commento di Enrico Barraco)
- Il trasferimento di ramo d’azienda disposto in favore di un soggetto privo di effettiva autonomia imprenditoriale, il quale-presi in carico i lavoratori appartenenti al predetto ramo-ne utilizzi la prestazione per brevissimo tempo e cessi quindi l’attività restituendo i beni aziendali al cedente, costituisce negozio in frode alla legge essendo volto ad eludere le norme in tema di licenziamento collettivo; in tale ipotesi la comunicazione del cedente ai dipendenti, essendo comunque volta ad interrompere il rapporto di lavoro con lo stesso, deve essere equiparata a licenziamento illegittimo con conseguente applicazione dell’art. 18 SL. (Trib. Padova, 25/5/2002, Est. Balletti, in D&L 2002, 978)
- In caso di trasferimento d’azienda, una volta accertata la nullità del licenziamento intimato dall’impresa cedente per violazione dell’art. 2112 c.c., il giudice – senza fare riferimento agli artt. 8 L. 15/7/66 n. 604 o 18 SL – emette una sentenza di mero accertamento della prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario e, eventualmente, condanna quest’ultimo al risarcimento del danno causato al lavoratore dall’illegittimo recesso, da determinarsi secondo i criteri codicistici dell’illecito contrattuale. (Trib. Firenze 29/11/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 390)
- In ipotesi di trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., una volta accertata la nullità del licenziamento intimato dal cedente, il conseguente obbligo di ripristino del rapporto di lavoro sussiste in capo al cessionario (Pret. Milano, sez. Abbiategrasso, 17/5/99, est. Fagnoni, in D&L 1999, 569)
- E’ illegittimo il licenziamento intimato per cessazione di attività qualora, successivamente alla cessazione, venga ceduta l’azienda cui erano addetti i lavoratori licenziati, con conseguente responsabilità solidale del cedente e del cessionario per il risarcimento del danno dovuto al lavoratore (Pret. Monza 9/1/96, est. Padalino, in D&L 1996, 752. In senso conforme, v. Pret. Milano 27/7/98, est. Curcio, in D&L 1998, 1007)
Responsabilità solidale del cessionario
- L’art. 2112, comma 2, c.c., prevede che, in caso di trasferimento d’azienda, “il cedente e il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento”, ma tale responsabilità presuppone la vigenza del rapporto di lavoro e non è quindi riferibile ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati anteriormente al trasferimento medesimo, salvo il disposto dell’art. 2560 c.c. (Trib. Bologna 21/5/2010, Giud. Coco, in Lav. nella giur. 2010, 846)
- La disciplina posta dal 2° comma dell’art. 2112 c.c., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone – al pari di quella prevista dal 1° e 3° comma della medesima disposizione quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili – la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c. che contempla, in generale la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori (fattispecie relativa a rapporto di lavoro, non ancora costituitosi al momento della cessione di azienda, a seguito di giudicato mai attuato, di condanna della società cedente all’assunzione del lavoratore e al risarcimento del danno). (Cass. 29/3/2010 n. 7517, Pres. Vidiri Est. Napoletano, in Orient. Giur. Lav. 2010, 401)
- Nell’ipotesi di trasferimento di azienda, stante la dedotta permanenza dell’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’attività economica e il mutamento del solo titolare, l’impresa conferitaria può essere ritenuta responsabile per i crediti maturati del lavoratore nei confronti dell’azienda cedente, in base all’art. 2112 c.c., ma la necessaria verifica da parte del giudice dei presupposti di fatto dai quali dipende l’applicazione di detta norma richiede una specifica devoluzione degli stessi, configurandosi in caso contrario violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, per sostituzione della causa petendi dedotta in giudizio con una differenza basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti. (Trib. Bari 10/3/2009, Giud. Spagnoletti, in Lav. nella giur. 2009, 639)
- La responsabilità solidale del cedente e del cessionario, prevista dall’art. 2112 c.c. per i crediti vantati dal lavoratore, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda e non è riferibile ai rapporti di lavoro cessati anteriormente al trasferimento; per questi ultimi trova applicazione il solo art. 2560 c.c. che consente al lavoratore di agire nei confronti del nuovo titolare solo se il suo credito risulta dai libri contabili. (Trib. Milano 25/10/2001, Est. Sala, in D&L 2002, 151, con nota di Monica Rota, “Ancora sulla responsabilità solidale di cedente e cessionario”)
- La disciplina posta dal secondo comma dell’art. 2112 c.c., come novellato dall’art. 47 L. 29/12/90 n. 428, che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda (a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario) presuppone (al pari di quella prevista dal primo e terzo comma dello stesso art. 2112 c.c. quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili) la vigenza del rapporto di lavoro e quindi non è riferibile ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente al trasferimento d’azienda (Trib. Milano 15/3/00, est. Sala, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 464)
- Nel caso di cessione d’azienda il cessionario non è responsabile in solido con il cedente per i crediti maturati in periodo anteriore alla cessione, se il rapporto di lavoro non sia proseguito in capo a lui (Trib. Verona 12/11/97, pres. Chimenz, est. Caracciolo, in D&L 1998, 510)
Trattamento economico e normativo
- In caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’articolo 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa. (Cass. 21/10/2019, n. 26759, Pres. Napoletano Est. Blasutto, in Riv.it. dir. Lav. 2020, con nota di W. Falco, “Trasferimento d’azienda illegittimo: cosa accade se il cedente non riammette il dipendente”, 36)
- In caso di trasferimento di ramo d’azienda illegittimo con regolare messa in mora del datore di lavoro, le retribuzioni corrisposte dal cessionario, che nel frattempo abbia utilizzato la prestazione dei lavoratori coinvolti, non producono effetto estintivo nei confronti dell’obbligo retributivo gravante sul cedente che rifiuti ingiustificatamente la prestazione di lavoro. Non trova applicazione l’istituto dell’adempimento del terzo in quanto il cessionario è legato al prestatore di lavoratore da un distinto rapporto giuridico regolato ex art. 2126 c.c. (Corte app. Roma 3/6/2019 n. 2163, Pres. e Est. Panariello, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di M.G. Greco, “Nell’ipotesi di trasferimento d’azienda illegittimo le retribuzioni corrisposte dal cessionario non estinguono l’obbligo del cedente”, 582)
- In caso di trasferimento di azienda e di applicazione di diverse fonti collettive da parte, rispettivamente, del datore di lavoro cedente e del cessionario, è conforme alla previsione di cui all’art. 2112 c.c. la stipulazione di un accordo, sottoscritto nel contesto delle procedure di confronto sindacale previste dall’art. 47 della L. n 428/1990, che regoli il passaggio da un’azienda all’altra e, in particolare, che confermi il trattamento economico e normativo applicato ai lavoratori presso l’azienda cedente. (Trib. Roma 3/5/2007, Est. Boghetich, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Pasquale Dui, 177)
- Per il nuovo istituto introdotto dalla L. n. 297/1982 unico debitore del Tfr, anche per il periodo passato alle dipendenze del precedente datore di lavoro, nel caso di trasferimento d’azienda, è il titolare dell’impresa al momento della cessazione del rapporto di lavoro, atteso che in tale momento matura, ed è esattamente determinabile nel suo importo, il diritto del lavoratore al Tfr, del quale la cessazione del rapporto è elemento costitutivo. (Trib. Grosseto 2/5/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 99)
- Nel trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. i debiti contributivi, da considerarsi comunque estranei all’esercizio dell’azienda, non possono gravare su un soggetto che non ha rivestito la qualifica di datore di lavoro nel periodo a cui si riferisce la contribuzione. (Corte d’appello Catania 13/11/2004, Pres. Pagano Rel. Maiore, in Lav. nella giur. 2005, 701)
- In caso di trasferimento di azienda le provvigioni riconosciute ad un dipendente di un concessionario di automobili addetto alla vendita delle medesime, non permangono quale obbligo in capo all’acquirente se la loro previsione non è contenuta in un contratto individuale, in uno collettivo né sono legate da un rapporto di reciprocità con le mansioni svolte dal lavoratore. (Trib. Trieste 17/9/2002, Est. Sonego, in Lav. nella giur. 2003, 237, con commento di Alessandra Marin)
- A norma dell’art. 2112, 2° comma c.c. (come modificato dall’art.47, l. n. 428/90 in attuazione della direttiva CEE n. 187/77), nel caso in cui l’azienda acquirente applichi già, nell’ambito della propria organizzazione, un contratto collettivo, deve ritenersi che quest’ultimo sostituisca immediatamente e totalmente la disciplina collettiva vigente presso l’azienda alienante e che, secondo i principi generali, detto contratto possa essere modificato “in peius ” dalla successiva contrattazione collettiva (Trib. Milano 22/11/00, est. Taraborrelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1002)
- Qualora ai lavoratori sia riconosciuto un più favorevole trattamento economico del lavoro notturno, previsto da contratto integrativo aziendale, recepito nei singoli contratti individuali, non è consentito alla nuova società, incorporante la precedente datrice di lavoro, modificare in pejus il trattamento del lavoro notturno, in pretesa applicazione di diverso contratto collettivo, costituendo tale comportamento violazione di un diritto acquisito da ogni singolo lavoratore, in forza del richiamo al precedente contratto integrativo aziendale, contenuto in ogni singolo contratto individuale (Pret. Busto Arsizio, sez. Gallarate, 20/10/98, est. Guadagnino, in D&L 1999, 373)
Procedura sindacale
- In caso di trasferimento di aziende in stato di crisi, l’accordo collettivo di cui all’art. 47, c. 4-bis, l. n. 428/1990, non può spingersi fino a prevedere limitazioni al trasferimento dei rapporti di lavoro all’impresa cessionaria, potendo prevedere modifiche delle condizioni di lavoro al fine del mantenimento dei livelli occupazionali, risultando una diversa interpretazione della disposizione in contrasto con la Direttiva n. 2001/23 come interpretata dalla Corte di Giustizia, anche in sede di condanna emessa nei confronti dell’Italia (App. Roma 16/2/2017, Pres. Marasco, Est. Valente, in Riv. giur. Lav., 2017, con nota di Gionata Cavallini, “Il trasferimento dell’Alitalia in crisi tra inadempimenti del legislatore e correttivi della giurisprudenza”, 455).
- L’art. 47, quinto comma, l. n. 428/1990, che consente la deroga alle garanzie di cui all’art. 2112 c.c. alle condizioni stabilite contestualmente, non preclude la stipulazione di accordi sindacali di natura transattiva che, al di fuori della consultazione sindacale prevista, rechino una deroga convenzionale alla continuità del lavoro. All’accordo sindacale di natura transattiva che preveda la costituzione di nuovi autonomi rapporti di lavoro con il cessionario dell’azienda deve riconoscersi efficacia vincolante nei confronti dei lavoratori iscritti alle associazioni stipulanti o che abbiano successivamente aderito all’accordo, contenendo esso una deroga convenzionale pienamente valida al principio della continuità di lavoro (stabilito dall’art. 2112 c.c.). (Cass. 26/5/2006 n. 12573, Pres. ed Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Filippo Notaro, “Trasferimento dell’azienda in crisi e derogabilità dell’art. 2112 c.c. in sede collettiva”, 179)
- Nel caso in cui il ramo d’azienda trasferito occupi esclusivamente lavoratori trasfertisti e presso i cantieri cui questi sono addetti non vi siano rappresentanze sindacali attive, competenti a ricevere la comunicazione prevista dall’art. 47 L. 29/12/90 n. 428 sono le Rsa o Rsu delle sedi di appartenenza “amministrativa”. La disciplina contenuta nell’art. 47 L. 29/12/90 n. 428 deve considerarsi imperativa anche nell’interesse dei lavoratori addetti all’azienda ceduta e, pertanto, l’omissione della comunicazione alle Rsu o Rsa ivi prevista comporta l’illegittimità del trasferimento del loro rapporto di lavoro, con conseguente diritto di tali lavoratori ad essere riammessi in servizio presso l’impresa cedente. (Trib. Milano 3/1/2004, Est. Ianniello, in D&L 2004, 363)
- In ipotesi di trasferimento del ramo d’azienda, con previsione di passaggio solo parziale del personale dell’alienante alle dipendenze dell’acquirente, l’eventuale accordo intervenuto in sede sindacale, ai sensi dell’art. 47 L. 428/90, non può assumere alcuna rilevanza ai fini dell’individuazione dei lavoratori da trasferire, essendo le OO.SS. esclusivamente legittimate – eccezion fatta per l’ipotesi contemplata dal 5° comma dell’art. 47 della L. 428/90 – a essere informate e a trattare sulle ricadute del trasferimento d’azienda e non potendo disporre degli effetti derivanti da tale trasferimento già compiutamente e inderogabilmente assicurati ai singoli lavoratori addetti all’azienda (o al ramo d’azienda) interessata alla cessione dall’art. 2112 c.c.; ai sensi di tale norma, l’appartenenza a un unico ramo di azienda dipende – quale che sia il luogo della prestazione lavorativa – dalla complementarità funzionale e organizzativa (nella realtà preesistente e non in quella risultante da modifiche appositamente apportate in prospettiva di una programmata cessione) che amalgama le mansioni demandate ai vari addetti, nell’ambito delle diverse competenze, ma in vista del raggiungimento di comuni risultati (Pret. Milano 10/3/97, est. Mascarello, in D&L 1997, 806)
Personale eccedentario
- In tema di trasferimento di azienda, l’art. 47, quinto comma, l. n. 428/1990-che l’art. 2, d. lgs. n. 18/2001 ha lasciato inalterato e che la Corte di Giustizia, nella sentenza 7 dicembre 1995, in causa 472/93, ha ritenuto in contrasto con la direttiva comunitaria n.187 del 1977-deve essere interpretato nel senso che l’accordo sindacale di deroga all’art. 2112 c.c., per un verso, e la dichiarazione dello stato di crisi aziendale, l’omologazione del concordato preventivo o gli altri eventi menzionati dalla norma, per altro verso, concretano due condizioni che devono congiuntamente sussistere nel momento in cui diviene operativo il trasferimento di azienda dal cedente al cessionario, ferma restando la insussistenza di una rigida sequenza temporale tra l’accordo sindacale e la richiesta di dichiarazione dello stato di crisi e gli altri eventi previsti, nel senso della non necessaria posteriorità dell’accordo. La suddetta interpretazione risulta conforme alla lettera e alla ratio della disposizione in esame, e altresì rispettosa del principio più volte affermato dalla Corte di Giustizia, secondo cui il giudice nazionale ha l’obbligo di adottare, tra diverse possibili letture di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario (nella specie la S.C. ha affermato l’inapplicabilità del citato art. 47, quinto comma, l. n. 428/1990 in un caso in cui il trasferimento di azienda era stato attuato, con lo strumento del contratto di affitto, prima dell’omologazione del concordato preventivo). (Cass. 16/5/2002, n. 7120, Pres. Spanò, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 169, con nota di Lucia D’Arcangelo, Trasferimento di azienda in crisi e concordato preventivo non omologato: la deroga all’art. 2112 c.c. non opera).
- In caso di trasferimento d’azienda, ai fini della operatività degli effetti previsti dall’art. 47, 5° comma, l. n. 428/90 (esclusione dei lavoratori eccedentari dal passaggio presso il cessionario), l’accordo sindacale non deve necessariamente intercorrere in data posteriore alla richiesta di dichiarazione dello stato di crisi aziendale di cui all’art. 2, 5° comma, lett.c), l. 12/8/77, n. 675, né è prescritta, in presenza della suddetta dichiarazione di crisi, la cessazione dell’attività aziendale. La non conformità del medesimo art. 47, 5° comma, l. n. 428/90 alla direttiva 77/187/CEE, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 7/12/95, non ne preclude l’applicazione nell’ordinamento interno, non potendo, peraltro, la disposizione comunitaria avere efficacia diretta nei rapporti tra privati. (Cass. 21/3/01, n. 4073, pres. Trezza, est. La Terza , in Lavoro giur. 2002, pag. 251, con nota di Pizzoferrato, La disciplina lavoristica del trasferimento di azienda in crisi nel nuovo scenario interpretativo; in Dir. lav. 2001, pag. 362, con nota di Passalacqua, La Corte di Cassazione chiude il cerchio sul caso Spano in materia di trasferimento dell’azienda in crisi)
Condotta antisindacale
- In caso di trasferimento di ramo d’azienda, l’accertata antisindacalità della condotta non comporta la nullità della cessione né la sua inefficacia e l’ordine del giudice non può contenere ex se la rimozione degli effetti della condotta antisindacale, atteso che tale conclusione contrasterebbe con la lettera e la ratio dell’art. 28 dello Statuto, il quale dispone che il riconoscimento dell’antisindacalità della condotta debba essere seguito dall’ordine di rimozione degli effetti, demandando così ai destinatari l’esecuzione di tale ordine e predendo a loro carico la responsabilità penale ai sensi dell’art. 650 c.p. in caso di mancata esecuzione. (Trib. Roma 14/1/2010, ord., Est. Buconi, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con commento di Enrico Raimondi, “Trasferimento d’azienda e art. 28 Stat. Lav.: un simulacro di tutela?”, 327)
- Non costituisce condotta antisindacale, ovvero “comportamento datoriale compromettente oggettivamente l’efficace espletamento del ruolo delle organizzazioni sindacali”, l’indicazione generica dei motivi del trasferimento d’azienda. L’incompletezza dell’informazione, in cui l’alienante e l’acquirente siano eventualmente incorsi, può essere sanata nella fase di consultazione, senza che la azione sindacale sia in alcun modo pregiudicata né oggettivamente compromessa. (Trib. Arezzo 11/2/2008, Est. Tegli, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Raffaele Galardi, “Una lettura ‘sostanzialistica’ dell’informazione nel trasferimento d’azienda”, 200)
- Costituisce condotta antisindacale l’omissione, da parte del cessionario, della comunicazione prevista in caso di cessione di azienda, dall’art. 47, L. n. 428/1990, a tutti i sindacati firmatari del contratto collettivo applicabile. La violazione dell’obbligo di informativa alle OO.SS. non determina la nullità del contratto di cessione, ma solo la sua temporanea inefficacia per il tempo necessario al rinnovo della procedura. (Trib. Roma 29/12/2005, Giud. Coco, in Lav. Nella giur. 2006, 822)
- In tema di trasferimento di azienda, l’art. 47 della legge n. 428 del 1990 pone un obbligo di informazione in capo al datore di lavoro nella fase precedente il trasferimento, disponendo che, ove la cessione riguardi un’azienda che occupa più di quindici dipendenti, deve darsene comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali costituite nelle unità produttive interessate, nonché alle rispettive associazioni di categoria, almeno venticinque giorni prima; il mancato adempimento dell’obbligo di informazione costituisce comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede, il cui inadempimento rileva come condotta antisindacale, mentre i lavoratori, avendo un interesse di fatto al rispetto degli obblighi di comunicazione, non sono legittimati a far valere la carenza o la falsità delle informazioni. (Cass. 22/8/2005 n. 17072, Pres. Ravagnani rel. Maiorano, in Dir. e prat. lav. 2006, 528)
- In caso di trasferimento d’azienda non costituisce condotta antisindacale il rifiuto dell’azienda cedente e di quella cessionaria di aderire alla richiesta delle associazioni sindacali di rinviare una riunione per consentire ai loro uffici sindacali l’esame del testo di una proposta di accordo concernente la sostituzione della quattordicesima mensilità, corrisposta dall’azienda cedente, in elemento della retribuzione da erogare in quote mensili, qualora il progetto dell’azienda cessionaria relativo alla suddetta modificazione sia stato oggetto di esame congiunto protrattosi per circa undici mesi trascorsi i quali l’azienda cessionaria aveva proceduto unilateralmente all’erogazione mensile. (Riguardo al caso di specie – al quale non era applicabile ratione temporis l’art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, secondo cui costituisce condotta antisindacale l’incompletezza dell’informativa ex art. 47 comma I, l. 29 dicembre 1990, n. 428 – la S.C. ha affermato che era stato comunque adempiuto l’obbligo di informativa). (Cass. 9/5/2005 n. 9589, Pres. Ciciretti Est. Guglielmucci, in Orient. Giur. Lav. 2005, 228)
- L’art. 47, L. n. 428/1990 contempla una precisa autonomia delle posizioni collettive ed individuali, alla quale corrispondono diversi spazi e strumenti di regolamentazione degli assetti negoziali. Ne consegue che il mancato adempimento dell’obbligo di informazione del sindacato costituisce un comportamento che viola l’interesse del destinatario delle informazioni, ossia il sindacato, ed è, pertanto, sussistendone i presupposti, configurabile come condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28, L. n. 300/1970, ma non incide sulla validità del negozio traslativo, non potendosi configurare l’osservanza delle suddette procedure sindacali alla stregua di un presupposto di legittimità (e quindi di un requisito di validità) del negozio di trasferimento. (Trib. Milano 14/1/2003, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2003, 693)
- Costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 SL la violazione da parte del cessionario del contratto collettivo “d’ingresso” stipulato durante le consultazioni di cui all’art. 47, L. 29/12/90 n. 428. (Trib. Milano 21/2/2002, decr., Est. Marasco, in D&L 2002, 589, con nota di Filippo Capurro, “Trasferimento d’azienda, violazione del contratto collettivo d’ingresso e condotta antisindacale”)
- Non è configurabile una condotta antisindacale nel caso in cui la lettera di comunicazione alle organizzazioni sindacali prevista dall’art. 47, comma primo, l. n. 428/90, per il trasferimento d’azienda, non contenga informazioni su fatti – pur rilevanti – che siano stati comunque oggetto di successiva discussione in sede di esame congiunto fra impresa e organizzazioni sindacali. (Corte Appello Milano 11/5/01, pres. Mannaccio, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 292)
- In tema di trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., l’art. 47 L. 428/90 prevede una serie di limitazioni all’autonomia privata dell’alienante e dell’acquirente già nella fase precedente il trasferimento, disponendo che, ove detto trasferimento riguardi un’azienda che occupa più di quindici dipendenti, almeno venticinque giorni prima di esso deve darsi comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali costituite nelle unità produttive interessate, nonché alle rispettive associazioni di categoria; il mancato adempimento dell’obbligo di informazione del sindacato, tuttavia, costituisce comportamento che viola l’interesse del destinatario delle informazioni, ossia il sindacato, ed è pertanto, sussistendone i presupposti, configurabile come condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 L. 330/70, ma non incide sulla validità del negozio traslativo, non potendosi configurare l’osservanza delle suddette procedure sindacali alla stregua di un presupposto di legittimità (e quindi di un requisito di validità) del negozio di trasferimento (Cass. 4/1/00 n. 23, pres. Lanni, in Dir. lav. 2000, pag.405, e in Riv.giur. lav. 2000, pag. 520 )
- È antisindacale la condotta della società acquirente di ramo d’azienda, che abbia ritenuto decadute le Rsu, qualora la cessione del ramo d’azienda sia avvenuta all’interno dello stesso gruppo e senza alcuna modifica degli organici del ramo d’azienda ceduto (Pret. Milano 19/6/98, est. Salmeri, in D&L 1998, 918)
- La procedura ex art. 47 L. 29/12/90 n. 428 deve essere esperita tutte le volte in cui la vicenda traslativa riguardi un’azienda che nel suo complesso occupi più di 15 lavoratori, senza che possa avere rilievo la circostanza che si versi in ipotesi di trasferimento di ramo d’azienda cui inerisca un numero di rapporti individuali di lavoro inferiore (nella fattispecie, il Pretore ha dichiarato antisindacale il mancato esperimento della procedura ex art. 47 cit.) (Pret. Milano 17/6/97, est. Negri della Torre, in D&L 1998, 77)
- Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che violi l’accordo stipulato con le OO.SS., con il quale egli si sia impegnato a esibire, preventivamente alla conclusione del trasferimento della propria azienda, il piano editoriale formulato dall’azienda acquirente (Pret. Milano 27/3/97, est. Atanasio, in D&L 1997, 497)
- In caso di trasferimento di azienda, l’omissione della procedura sindacale prevista dall’art. 47 L. 428/90 dà luogo a un’ipotesi espressa di condotta antisindacale e genera altresì la nullità dello stesso negozio traslativo (dovendosi intendere ormai lo svolgimento della procedura sindacale come requisito di forma ad substantiam dell’atto traslativo), con la conseguenza che la rimozione degli effetti della condotta antisindacale può realizzarsi dichiarando la nullità dell’atto traslativo medesimo realizzato in violazione delle disposizioni di legge (Pret. Lodi 28/7/95, est. Poggioli, in D&L 1995, 863. In senso conforme, v. Pret. Milano 2/4/96, est. Sala, in D&L 1997, 75, nota QUADRIO, Interesse collettivo e comportamento antisindacale nell’ambito del trasferimento d’azienda. Sulla antisindacalità della violazione della procedura ex art. 47 L. 428/90, v. anche Pret. Milano 13/6/94, est. Frattin, in D&L 1995, 101)
- Pongono in essere un comportamento antisindacale le imprese che, nel corso di una procedura di trasferimento di ramo d’azienda, scavalcano il confronto con le organizzazioni sindacali titolari del diritto di esame congiunto ex art. 47 L. 428/90, avviando trattative individuali con i lavoratori e concludendo transazioni individuali in giudizio a seguito di preventivo ricorso ex art. 414 cpc, promosso dalla stessa azienda cedente; in tal caso, la rimozione degli effetti non può investire la validità delle transazioni ma può essere garantita attraverso un’inibitoria alle società convenute di dare esecuzione alle stesse (Pret. Milano 27/10/94, est. Atanasio, in D&L 1995, 85, nota SCARPELLI, Procedure di consultazione sindacale nel trasferimento d’azienda e trattative dirette (con transazioni in giudizio) fra impresa e lavoratori: problemi e contenuto dell’intervento giudiziale ex art. 28 SL)
Normativa comunitaria
- In presenza di un trasferimento d’impresa che coinvolge più cessionari, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001 deve essere interpretato nel senso che i diritti e gli obblighi risultanti da un contratto di lavoro sono trasferiti a ciascuno dei cessionari, in proporzione alle funzioni svolte dal lavoratore interessato, a condizione che la scissione del contratto di lavoro che ne risulta sia possibile o non comporti un deterioramento delle condizioni di lavoro né pregiudichi il mantenimento dei diritti dei avoratori garantito da tale direttiva. Nell’ipotesi in cui una tale scissione si rivelasse impossibile da realizzare o arrecasse pregiudizio ai diritti di detto lavoratore, l’eventuale risoluzione del rapporto di lavoro che ne conseguirebbe sarebbe considerata, ai sensi dell’articolo 4 di detta direttiva, come dovuta al fatto del cessionario o dei cessionari, quand’anche tale risoluzione fosse intervenuta su iniziativa del lavoratore. (Corte di Giustizia 26/3/2020 n. C-344/18, Pres. Villaras Rel. Picarra, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di G. Spinelli, “Successione di più imprenditori nell’unico appalto. Le sorti dei rapporti trasversali alle parti di azienda trasferite”, 487, e in Lav. nella giur. 2020, con nota di R. Cosio, Appalti e trasferimenti d’impresa. Il trasferimento dell’impresa a due cessionari, 1153)
- La direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, in particolare il suo articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), deve essere interpretata nel senso che essa si applica al trasferimento di un’unità di produzione allorché, da un lato, il cedente, il cessionario o entrambi congiuntamente agiscano ai fini della prosecuzione da parte del cessionario dell’attività economica esercitata dal cedente, anche in vista della successiva estinzione del cessionario medesimo, nell’ambito di una liquidazione, e, dall’altro, l’unità di cui trattasi, non essendo in grado di raggiungere il proprio scopo economico senza doversi procurare fattori di produzione provenienti da terzi, non sia totalmente autosufficiente. Ciò alla condizione, di cui spetta al giudice del rinvio verificare l’adempimento, da un lato, che sia rispettato il principio generale del diritto dell’Unione che impone al cedente e al cessionario di non cercare di beneficiare fraudolentemente e abusivamente dei vantaggi che potrebbero trarre dalla direttiva 2001/23 e, dall’altro, che l’unità di produzione di cui trattasi disponga di garanzie sufficienti che le assicurino l’accesso ai fattori di produzione di un terzo, al fine di non dipendere dalle scelte economiche effettuate da quest’ultimo unilateralmente. (Corte di Giustizia 13/6/2019, C-664/17, Pres. A. Prechal, Est. J. Malenovsky, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di G. Gianni, “Il ramo d’azienda e la cessione con finalità fraudolente”, 176)
- La Direttiva 2011/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, e in particolare il suo art. 5, paragrafo 1, deve essere interpretata nel senso che la tutela dei lavoratori garantita dagli artt. 3 e 4 di tale direttiva permane in una situazione, come quella di cui al procedimento principale, in cui un’impresa sia trasferita in seguito a una dichiarazione di fallimento nell’ambito del pre-pack, preparato anteriormente a detta dichiarazione e realizzato immediatamente dopo la pronuncia di fallimento, nell’ambito del quale, in particolare, un ‘curatore designato’ nominato da un giudice esamini la possibilità di un’eventuale prosecuzione dell’attività dell’impresa a opera di un terzo e prepari azioni da svolgere subito dopo la pronuncia di fallimento per realizzare tale prosecuzione, e inoltre non è rilevante, a tale riguardo, che l’obbiettivo perseguito da tale operazione di pre-pack miri anche a massimizzare gli introiti della cessione per l’insieme dei creditori dell’impresa in oggetto. (Corte di Giustizia 22/6/2017, C-126/16, Pres. Malenovsky, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di M. L. Vallauri, “La Corte di Giustizia torna sulle condizioni per la disapplicazione delle tutele in caso di trasferimento d’impresa soggetta a procedura concorsuale”, 148)
- L’articolo 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, letto in combinato disposto con l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che, in caso di trasferimento di stabilimento, il mantenimento dei diritti e degli obblighi derivanti in capo al cedente da un contratto di lavoro si estende alla clausola, negoziata tra il cedente e il lavoratore nell’ambito dell’autonomia privata, in virtù della quale il loro rapporto di lavoro è disciplinato non solo dal contratto collettivo vigente alla data del trasferimento, ma anche dai contratti collettivi successivi a detto trasferimento e che completano, modificano o sostituiscono il primo, qualora il diritto nazionale preveda, a favore del cessionario, la possibilità di apportare adattamenti sia consensuali che unilaterali. (Corte di Giustizia 27/4/2017, C-680/15 e C-681/15, Pres. Bay Larsen Est. Malenovsky, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M. L. Vallauri, “La Corte di Giustizia torna a definire la capacità di resistenza della contrattazione collettiva nel caso di cessione di impresa”, 896)
- L’articolo 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale, il cessionario deve includere, all’atto del licenziamento di un lavoratore a oltre un anno dal trasferimento dell’impresa, nel calcolo dell’anzianità del lavoratore rilevante ai fini della determinazione del preavviso al medesimo spettante, l’anzianità da questi acquisita presso il cedente. (Corte di Giustizia 6/4/2017, C-336/15, Pres. Borg Barthet, Est. Levits, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di M. L. Vallauri, “La Corte di Giustizia torna a definire la capacità di resistenza della contrattazione collettiva nel caso di cessione di impresa”, 896)
- L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che la nozione di “trasferimento di uno stabilimento” comprende una situazione nella quale un’impresa attiva nel mercato dei voli charter è liquidata dal suo azionista di maggioranza, che è a sua volta impresa di trasporto aereo, e nella quale, successivamente, quest’ultima subentra all’impresa liquidata riassumendone i contratti di locazione di aerei e i contratti di lavori charters in vigore, svolge l’attività precedentemente svolta dall’impresa liquidata, riassume alcuni lavoratori fino a quel momento distaccati presso tale impresa, collocandoli in funzioni identiche a quelle svolte in precedenza e riprende piccole apparecchiature di detta impresa. (Corte di Giustizia 9/9/2015, C-160/14, Pres. Lenaerts, Rel. Silva de Lapuerta, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Marco Lozito, “La conservazione dell’identità nel trasferimento d’azienda: un film o una fotografia”, 232)
- Ai sensi dell’art. 267, terzo comma, TFUE, un giudice avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno è tenuto a sottoporre alla Corte di Giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione della nozione di “trasferimento di uno stabilimento”, di cui all’art. 1, par. 1, dir. 2001/23/CE, essendovi decisioni divergenti di grado inferiore quanto all’interpretazione di tale nozione e ricorrenti difficoltà di interpretazione della direttiva nei vari Stati membri. (Corte di Giustizia 9/9/2015, C-160/14, Pres. Lenaerts, Rel. Silva de Lapuerta, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Marco Lozito, “La conservazione dell’identità nel trasferimento d’azienda: un film o una fotografia”, 232)
- La Corte di Giustizia ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo e sia sufficientemente strutturata e autonoma. Il criterio selettivo dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, letto conformemente alla disciplina dell’Unione, consente di affrontare e scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si traducano in forme incontrollate di espulsione di personale. (Cass. 24/10/2014 n. 22688, Pres. Vidiri Est. Amendola, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Biagiotti, “Ripensando l’«articolazione funzionalmente autonoma»: una lettura controversa della nozione, 3)
- L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. (Corte di Giustizia UE 6/3/2014 causa C-458/12, Pres. Safjan Rel. Malenovsky, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Andrea Stanchi e Annamaria Pedroni, 333, e in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Carlo Cester, “Il trasferimento del ramo d’azienda ancora alla prova della Corte di Giustizia fra uso capovolto della normativa di tutela e disciplina di maggiore favore”, 461)
- L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui, dopo il trasferimento della parte di impresa considerata, tale cedente eserciti un intenso potere di supremazia nei confronti del cessionario. (Corte di Giustizia UE 6/3/2014 causa C-458/12, Pres. Safjan Rel. Malenovsky, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Andrea Stanchi e Annamaria Pedroni, 333, e in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Carlo Cester, “Il trasferimento del ramo d’azienda ancora alla prova della Corte di Giustizia fra uso capovolto della normativa di tutela e disciplina di maggiore favore”, 461)
- L’art. 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro preveda, nel caso di un trasferimento d’impresa, che le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento siano opponibili al cessionario, qualora quest’ultimo non abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti collettivi conclusi dopo il trasferimento. (Corte di Giustizie UE 18/7/2013 causa C-426/11, Pres. Silva de Lapuerta Rel. Malenosvky, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Roberto Cosio, 34)
- È manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 29, comma 2 D.Lgs. 276/2003 per eccesso di delega, per aver tale disposizione permesso, anche nei casi di appalto successivo alla cessione di ramo d’azienda, ai dipendenti dell’appaltatore di agire nei confronti dell’appaltante a prescindere dalla sua inadempienza, realizzando così un regime speciale di responsabilità rispetto alla previsione generale dell’art. 1676 codice civile, richiamata dalla legge delega (L. 30/2003). L’eccezione di incostituzionalità deve ritenersi manifestamente infondata, da un lato, in quanto l’art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003 è frutto di successivi interventi legislativi (non più vincolati ai principi contenuti nella legge delega), che ne hanno modificato la formulazione originaria, dall’altro, perché le disposizioni in oggetto si fanno interpreti della normativa comunitaria, e in particolare della Direttiva 2001/23/CE, che, con riferimento alle ipotesi di trasferimento d’azienda con successiva stipulazione di un contratto d’appalto di servizi tra cedente e cessionario, ritiene preminenti le esigenze di tutela dei lavoratori ceduti rispetto a quelle del cedente o del cessionario. (Trib. Milano 7/2/2011, Est. Mariani, in Orient. Giur. Lav. 2012, con nota di Marco Biasi, “La garanzia del credito dei lavoratori nel caso di appalto successivo a operazioni di outsourcing. Il rapporto tra la disciplina nazionale e quella comunitaria”, 320)
- L’art. 1, n. 1, lett. a) e b), della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel seno che tale direttiva non si applica a una situazione in cui un comune, che affidava la pulizia dei propri locali a un’impresa privata, decida di porre termine al contratto che lo vincolava a quest’ultima e di espletare esso stesso l’attività di pulizia di detti locali, assumendo a tal fine nuovo personale. (Corte di Giustizia 20/1/2011, Causa C-439/09, Pres. Laerts Est. Malenovsky, in Orient. Giur. Lav. 2011, 13)
- Un’entità economica trasferita conserva la sua autonomia, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, qualora i poteri riconosciuti ai responsabili di tale entità, in senso alle strutture organizzative del cedente, vale a dire il potere di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno alla citata entità nel perseguimento dell’attività economica che le è propria e, più in particolare, i poteri di impartire disposizioni e istruzioni, distribuire i compiti ai lavoratori subordinati impiegati nell’entità interessata nonché di decidere sull’allocazione delle risorse materiali messe a sua disposizione, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro, rimangano sostanzialmente invariati in seno alle strutture organizzative del cessionario. (Corte Giustizia CE 29/7/2010 causa C-151/09, Pres. Lenaerts Est. Malenovsky, in Orient. Giur. Lav. 2010, n. 2, 2)
- Il solo cambiamento dei superiori gerarchici di livello più elevato non può di per sé pregiudicare l’autonomia dell’entità trasferita, a meno che i nuovi superiori gerarchici di livello più elevato non dispongano di poteri che consentono loro di organizzare direttamente l’attività dei lavoratori di tale entità e di sostituirsi così ai superiori diretti dei lavoratori nell’adozione di decisioni all’interno di quest’ultimo. (Corte Giustizia CE 29/7/2010 causa C-151/09, Pres. Lenaerts Est. Malenovsky, in Orient. Giur. Lav. 2010, n. 2, 2)
- Mantenendo in vigore le disposizioni di cui all’art. 47, commi 5 e 6, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, in caso di «crisi aziendale» a norma dell’art. 2, quinto comma, lett. c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, in modo tale che i diritti riconosciuti ai lavoratori dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, non sono garantiti nel caso di trasferimento di un’azienda il cui stato di crisi sia stato accertato, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva. (Corte di Giustizia CE 11/6/2009, causa C-561/07, Pres. C.W.A. Timmermans Rel. L. Bay Larsen, in D&L 2009, con nota di Maria Lughezzani, “La disciplina italiana del trasferimento d’azienda in crisi (ancora) al vaglio della Corte di Giustizia”, 651, e in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Riccardo Bollini, “Protezione del lavoro nel trasferimento d’azienda: il D.L. 135/2009 e il c.d. “caso Alitalia” alla luce della disciplina comunitaria”, 338)
- L’art. 1 della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che quest’ultima si applica quando una parte del personale amministrativo e una parte dei lavoratori vengono trasferite da un’agenzia di lavoro interinale per esercitarvi le stesse attività al servizio di clienti identici e gli elementi interessati dal trasferimento, pur non essendo connotati da una loro materialità, sono già di per sé sufficienti a consentire lo svolgimento di prestazioni caratteristiche dell’attività economica senza ricorrere ad altri mezzi di produzione significativi né ad altre parti dell’impresa. (Corte Giustizia CE 13/11/2007 n. C-458/05, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Flavio Mattiuzzo, 43)
- L’art. 1 della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che nell’esame della sussistenza di un trasferimento di impresa ai sensi del detto articolo, in caso di nuova aggiudicazione di un appalto e nell’ambito di una valutazione d’insieme, l’accertamento del trasferimento dei mezzi di produzione ai fini di una gestione economica autonoma non costituisce requisito necessario per l’accertamento di un trasferimento dei mezzi medesimi dall’appaltatore originario al nuovo appaltatore. (Corte Giustizia CE 15/12/2005, Cause C-232/04 e C-233/04, Pres. Rosas Est. Barthet, in Orient. Giur. Lav. 2005, 67)
- L’art. 3, n.1, della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che la data del trasferimento ai sensi di questa disposizione corrisponde alla data in cui si attua la trasmissione dal cedente al cessionario della veste di imprenditore responsabile della gestione dell’ente trasferito. Questa data è un momento preciso che non può essere rinviato, a discrezione del cedente o del cessionario, a un’altra data. Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, i contratti e i rapporti di lavoro esistenti alla data del trasferimento, nel senso precisato all’art. 1 del presente dispositivo, tra il cedente e i lavoratori occupati nell’impresa trasferita si ritengono trasferiti in questa data dal cedente al cessionario, a prescindere dalle modalità che sono state pattuite a tale riguardo tra questi ultimi. (CGCE 26/5/2005, Causa C-478/03, Pres. Jann, Est. Lenaerts, in Orient. Giur. Lav. 2005, Osservatorio comunitario, 3)
- L’art. 1 della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, va interpretato nel senso che quest’ultima si applica alla situazione in cui un committente, che aveva affidato con un contratto la completa gestione della ristorazione collettiva di un ospedale ad un primo imprenditore, pone fine a tale contratto e conclude, per l’esecuzione della stessa prestazione, un nuovo contratto con un secondo imprenditore, quando il secondo imprenditore utilizza rilevanti elementi patrimoniali materiali di cui si è servito precedentemente il primo imprenditore e messi a loro disposizione in successione dal committente, anche se il secondo imprenditore abbia manifestato l’intenzione di non riassumere i dipendenti del primo imprenditore. (Corte di Giustizia CE 20/11/2003 n. C-340/2001, Pres. Gulmann Rel. Puissochet, in Lav. nella giur. 2004, 27, con commento di Davide Casale)
- Ai sensi dell’art. 1 della direttiva del Consiglio 77/187/Cee del 14/2/77 (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti), deve essere ritenuto trasferimento di impresa anche la successione in un contratto di appalto nel settore della ristorazione collettiva. Non sono sufficienti ad escludere l’applicazione della medesima direttiva l’assenza di rapporti contrattuali tra l’impresa che ha perso l’appalto e l’impresa che la succede, né la scelta di quest’ultima di non assumere alcuno dei dipendenti della prima, poiché l’importanza da attribuire ai singoli criteri attinenti alla sussistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187/Cee normalmente utilizzati dal giudice varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata, dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento. (Corte di Giustizia CE 20/11/2003 causa C-340/01, Pres, C. Gulmann Rel. Puissochet, in D&L 2004, con nota di Giovanni Paganuzzi, “Trasferimento di azienda, nozione oggettiva di azienda e successione nell’appalto”, 35)
- L’eventuale acclaramento del contrasto tra ordinamento comunitario (Direttiva 77/187) ed ordinamento interno, relativamente alla definizione del ramo d’azienda, è inidoneo a produrre immediatamente effetti sul rapporto giuridico controverso, stante il principio dell’inefficacia orizzontale delle direttive. Ne consegue l’irrilevanza del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in merito all’interpretazione della Direttiva 77/187. (Cass. 25/10/2002 n. 15105, Pres. Mercurio Est. Picone, in D&L 2002, 905, con nota di Lorenzo Franceschinis, “Il caso Ansaldo all’esame della Cassazione: è ramo d’azienda solo se vi è autonomia funzionale ed organizzativa preesistente al trasferimento”)
- L’art. 3 della direttiva n. 77/187 deve essere interpretato nel senso che obblighi applicabili in caso di licenziamento di un lavoratore, derivanti da un contratto di lavoro, da un rapporto di lavoro o da un contratto collettivo di lavoro che vincolino il cedente nei confronti di detto lavoratore, sono trasferiti al cessionario secondo le condizioni ed i limiti definiti da tale articolo, indipendentemente dal fatto che tali obblighi abbiano la loro fonte in atti della pubblica autorità o siano attuati da tali atti e indipendentemente dalle modalità pratiche scelte per tale attuazione. (Corte di Giustzia 4/6/2002, causa n. C-164/00, Pres. Rodriguez Iglesias, Rel. Puissochet, in Riv. it. dir. lav. 2003, 449, con nota di Armando Tursi, Previdenza complementare e trasferimento d’azienda)
- Alla stregua del diritto comunitario, deve considerarsi trasferimento d’azienda quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essenziale o accessoria, la cui gestione sia effettivamente proseguita o ripresa (Corte Appello Milano 12/4/01, pres. Ruiz, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 90)
- La ripresa, ad opera di un’impresa, di attività di trasporto pubblico non marittimo – come l’esercizio di linee locali regolari di autobus – gestite sino ad allora da un’altra impresa, in seguito al procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi di cui alla direttiva del Consiglio 18/6/92, 92/50, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, può rientrare nella sfera di applicazione materiale della direttiva del Consiglio 14/2/77, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, come definita dall’art. 1, n. 1, della medesima. L’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 va così interpretato: – tale direttiva può essere applicabile in assenza di vincolo contrattuale diretto tra due imprese cui un ente morale di diritto pubblico ha successivamente assegnato, in esito ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi istituito in conformità della direttiva 92/50, un servizio di trasporto pubblico non marittimo, quale l’esercizio di linee locali regolari di autobus; – in una situazione come quella della causa principale, la direttiva 77/187 non è applicabile in assenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese summenzionate (Corte Giustizia 25/1/01, n. C-172/99, in Dir. Lav. 2001, pag. 160)
- L’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187/CEE deve essere interpretato nel senso che questa ultima può applicarsi ad una situazione in cui un ente che gestisce servizi di telecomunicazioni ad uso pubblico ed è gestito da un ente pubblico integrato nell’amministrazione dello Stato costituisce oggetto, a seguito di decisioni delle pubbliche amministrazioni, di un trasferimento a titolo oneroso, sotto forma di una concessione amministrativa, ad una società di diritto privato costituita da un altro ente pubblico che ne detiene tutte le azioni. Occorre tuttavia che le persone coinvolte in siffatto trasferimento siano state inizialmente tutelate in quanto lavoratori in base al diritto nazionale in materia di diritto del lavoro (Corte Giustizia sez. VI 14/9/00, n. C-343/98, pres. Almeida, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 1113, con nota di Bolego, “Privatizzazioni” e ambito di applicazione della direttiva comunitaria sul trasferimento d’impresa)
- L’art. 1 della direttiva CE 77/187 inerente la tutela del dipendente in caso di trasferimento di azienda, si applica anche al caso di passaggio di un’impresa da un ente pubblico che sia diretta emanazione dello Stato a una società di diritto privato e anche qualora tale trasferimento non derivi da contratto, ma avvenga sotto forma di concessione amministrativa; occorre tuttavia che i dipendenti interessati al trasferimento siano assoggettati dalle norme di diritto interno alla disciplina del diritto di lavoro (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, VI sez., 14 settembre 2000, causa C-343/98, pres. Moitinho de Almeida, rel. Puissochet, in D&L 2000, 898)
- L’art. 3 della direttiva CE 77/187 impone che il datore di lavoro cessionario – nel liquidare emolumenti retributivi che, presso il cedente, erano collegati all’anzianità di lavoro – tenga conto anche degli anni di lavoro prestati presso il cedente stesso (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, VI sez., 14 settembre 2000, causa C-343/98, pres. Moitinho de Almeida, rel. Puissochet, in D&L 2000, 898)
- L’art. 2112 c.c. anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, è applicabile alla fattispecie in cui, a seguito della cessazione di un’impresa individuale, il figlio di detto imprenditore dia inizio in una sede diversa alla medesima attività, con riassunzione dei dipendenti dell’impresa cessata, utilizzo di parte dei macchinari preesistenti e mantenimento della medesima clientela (Trib. Milano 18 settembre 1999, pres. Mannacio, est. Accardo, in D&L 2000, 157)