Tutela reale

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Definizione

La tutela prevista dall’art. 18 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) si applica nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che occupino più di quindici dipendenti nell’unità produttiva nella quale è occupato il lavoratore licenziato oppure nell’ambito dello stesso comune; e in ogni caso ai datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze globalmente più di sessanta lavoratori, indipendentemente dal frazionamento organizzativo delle unità produttive.

Tale tutela è stata oggetto di un importante rivisitazione da parte della legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, che ha sostituito la cd. tutela reale, applicabile a tutti i casi di licenziamento illegittimo rientranti nell’ambito di applicazione della norma, con quattro diversi regimi di protezione per il lavoratore ingiustamente licenziato.
Prima che intervenisse la nuova normativa, infatti, il giudice con sentenza che annullava il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo (oggettivo o soggettivo), ordinava al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Inoltre, il medesimo giudice doveva condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal lavoratore, liquidando al lavoratore un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; in ogni caso la misura di tale risarcimento non poteva essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Era, inoltre, facoltà del lavoratore esercitare il c.d. diritto di opzione, che consisteva nel richiedere, al posto della reintegrazione, la corresponsione di un’indennità pari a 15 mensilità (da sommarsi a quanto dovuto a titolo di risarcimento).

Con l’entrata in vigore della riforma del 2012 il regime è stato modificato. La nuova legge prevede, infatti, una graduazione della sanzione applicabile che varia a seconda del variare della gravità dei vizi che caratterizzano il licenziamento.

In particolare, l’art. 18, nella sua attuale formulazione, prevede quattro diversi regimi sanzionatori:

 

Tutela reintegratoria “piena”

Tale tutela si applica:

  • in tutti i casi di nullità del licenziamento, perché discriminatorio oppure comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità oppure negli altri casi previsti dalla legge;
  • nei casi in cui il licenziamento sia inefficace perché intimato in forma orale.

È bene precisare che essa trova applicazione a prescindere dal numero di lavoratori occupati dal datore di lavoro ed è prevista anche a favore dei dirigenti.
In tali ipotesi, il giudice, dichiarando nullo il licenziamento, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore al risarcimento del danno subito per il periodo successivo al licenziamento e fino alla reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione.
Il risarcimento del danno è rappresentato da un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione e non può in ogni caso essere inferiore alle cinque mensilità (non è invece previsto un limite massimo). Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.
Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha, comunque, la possibilità- entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza- di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

 

Tutela reintegratoria “attenuata”

Tale tutela si applica:

  • in caso licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo illegittimo perché il fatto contestato non sussiste o perché il fatto rientra in una delle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base del CCNL applicabile;
  • in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se il fatto è manifestamente infondato.

Il giudice, annullando il licenziamento, ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno oltreché al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo fino alla reintegrazione effettiva.
Il risarcimento, in questo caso, corrisponde ad una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto sia ciò che il lavoratore ha effettivamente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, sia ciò che lo stesso avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
Il legislatore fissa inoltre un limite massimo per il risarcimento, che non può in ogni caso superare un importo pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
Anche in tal caso, il lavoratore può optare per l’indennità sostitutiva della reintegra.

 

Tutela meramente obbligatoria

Tale tutela si applica in tutte le ipotesi non contemplate dalle altre tutele, qualora il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro.
In tal caso il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.

 

Tutela obbligatoria “ridotta”

Tale tutela si applica alle ipotesi in cui il licenziamento risulti illegittimo per carenza di motivazione o per inosservanza degli obblighi procedurali previsti per il licenziamento disciplinare o per il giustificato motivo oggettivo.
In tali casi il giudice, dichiarando l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennità variabile tra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, da valutarsi da arte del giudice in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro.

Di recente il legislatore ha ulteriormente limitato il campo applicativo della tutela reale. Il 7 marzo 2015, infatti, è entrato in vigore il Decreto legislativo n. 23/2015 (contenente la disciplina del c.d. “contratto di lavoro a tutele crescenti”), attuativo della legge delega 183/2014 (c.d. Jobs Act), che ha introdotto un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo, regime in base al quale la reintegrazione nel posto di lavoro è prevista nei soli casi di:

  • licenziamento discriminatorio;
  • licenziamento nullo per espressa previsione di legge;
  • licenziamento orale;
  • licenziamento in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore;
  • licenziamento disciplinare in relazione al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.


La nuova disciplina interessa tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015).
I lavoratori già in forza prima di questa data continueranno, invece, a beneficiare dei regimi di tutela previsti dall’art. 18, purché, naturalmente, risultino assunti in strutture che superano le soglie numeriche previste dalla legge (unità produttiva con più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo, o più di 60 dipendenti in totale). Nell’immediato, dunque, per questi lavoratori non cambia nulla.

Occorre peraltro tenere conto che, nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore di detto decreto, raggiunga le soglie dimensionali previste dall’articolo 18, a tutti i lavoratori (vecchi e nuovi assunti) si applicherà integralmente la disciplina del contratto a tutele crescenti, e il relativo regime sanzionatorio previsto in caso di licenziamento ingiusto.

Allo stesso modo, la nuova disciplina verrà applicata anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

I lavoratori già assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, seppur a oggi non interessati dalle novità normative, potranno comunque esserlo in futuro, allorché dovessero cambiare lavoro, transitando nella condizione di “nuovi assunti” presso un diverso datore di lavoro.