Scheda sintetica
Lavoro subordinato e parasubordinato, lavoro autonomo e collaborazioni a carattere continuativo o saltuario: sono molteplici le forme con cui un’attività lavorativa può essere resa, e i confini tra le stesse non sono sempre facili da tracciare, pur essendo di estremo rilievo; infatti, per ognuna delle varie tipologie, trova applicazione una disciplina differente, sia sul piano normativo che fiscale.
Per evitare che dietro un contratto autonomo o parasubordinato si nasconda l’intento fraudolento del datore di lavoro di limitare tali diritti, la giurisprudenza è intervenuta individuando alcuni indici di subordinazione, cioè fattori che possono aiutare ad identificare la reale natura del rapporto di lavoro.
La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare ripetutamente che laddove si accerti che un rapporto, sebbene qualificato come di collaborazione, ha in realtà natura subordinata, il lavoratore potrà rivendicare tutti i diritti conseguenti (retributivi e contributivi).
Perché tale rivendicazione sia possibile, è necessario che ricorrano dei requisiti ben precisi.
Al fine di accertare la sussistenza di questi requisiti, la giurisprudenza è solita valutare tutta una serie di indici.
Tra i più significativi vanno senz’altro ricordati:
- il fatto che l’attività lavorativa si svolga presso i locali aziendali;
- una presenza costante sul lavoro, specie se ad orario fisso e caratterizzata da un vero e proprio obbligo di presenza (e dunque con necessità di avvertire e di giustificarsi in caso di assenza);
- il concordare il periodo feriale;
- l’utilizzo, per lo svolgimento dell’attività lavorativa, di strumenti di proprietà del datore di lavoro;
- il ricevere costantemente ordini e disposizioni;
- la mancanza, in capo al lavoratore, di una propria attività imprenditoriale e della relativa struttura, sia pur minima.
Nessuno degli elementi sopra indicati è, di per sé, determinante ma, laddove sia riscontrabile la contemporanea presenza di più indici tra quelli esemplificativamente indicati, ciò potrà costituire una prova della natura subordinata del rapporto.
Va infine segnalato che il legislatore, con decreto legislativo n. 81 del 2015 – uno dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act –, ha recentemente stabilito che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato “si applica anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” (art. 2, d.lgs. 81/2015). Tale norma è stata poi riformata dalla legge 128 del 2019 con l’eliminazione del riferimento ai tempi e al luogo di lavoro e l’applicazione della disciplina ai rapporti che si concretano in “prestazioni di lavoro prevalentemente personali”.
La norma in parola introduce, dunque, una presunzione legale di subordinazione, destinata a operare allorché:
- la prestazione sia svolta in modo prevalentemente personale;
- la prestazione sia svolta con continuità;
- la prestazione sia etero organizzata dal committente.
Per valutare se e in che misura questi nuovi indici di subordinazione, tipizzati dal legislatore, saranno in grado di influenzare la nozione giurisprudenziale di subordinazione, eventualmente estendendone la portata (come suggerito da uno dei primi commentatori della riforma, v. Chiusolo, “La disciplina delle collaborazioni”, in Guida al Jobs Act – versione definitiva (ottobre 2015), occorrerà necessariamente attendere le prime pronunce dei Tribunali e della Cassazione.
In ogni caso, il secondo comma dell’art. 2 stabilisce che la nuova presunzione di subordinazione non si applica:
- alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
- alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
- alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
- alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I.
Per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni, la riforma le esclude dalla nuova disciplina, ma stabilisce che dal 1° gennaio 2017 esse non potranno più stipulare contratti di collaborazione caratterizzati dagli indici di subordinazione indicati dall’art. 2.
Da ultimo, la nuova legge prevede la possibilità per le parti di richiedere alle commissioni di cui all’art. 76 del d.lgs. 276/03 la certificazione dell’assenza dei requisiti contemplati dalla stessa norma per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato. Il lavoratore, in tal caso, potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Casistica di decisioni della Magistratura in materia di subordinazione
Per la casistica di decisioni della Magistratura si veda il paragrafo specifico alla voce Qualificazione del contratto.